Sono cominciate nel porto di Catania le operazioni di sbarco dalla nave Diciotti della Guardia Costiera con a bordo 86 persone sopravvissute ad un naufragio avvenuto sabato scorso una quarantina di miglia a nord di Tripoli. Sulla nave anche i cadaveri di otto migranti che non ce l’hanno fatta e che sono stati recuperati dai soccorritori. Le ricerche hanno proseguito per tutta la notte, senza esito . Intanto sono state avviate le prime indagini sulla tragedia: personale della squadra mobile della Polizia di Stato di Catania sta acquisendo le testimonianze e i verbali delle operazioni del personale di bordo. Potranno fare ben poco, come in passato. I sopravvissuti sono shoccati, sgomenti, impauriti, indeboliti dal viaggio e senza alcuna voglia di parlare.
Ciò che non diranno, come in altre tragedie del mare, è quanti di loro sono stati gettati a mare. Hanno visto ammazzare i compagni di viaggio e si sono voltati dall’altra parte. Per l’orrore e per la paura di fare la stessa fine. Bambini, donne, uomini malandati o disobbedienti. Identificheranno colui o coloro che si sono alternati al timone dello scafo, senza sapere magari che gli “scafisti” tali non sono. Dopo trenta minuti, un’ora non di più, infatti, lo scafista “vero”, quello che fa parte dell’organizzazione, ha lasciato il gommone ed è tornato indietro. Ha già fatto quel che doveva, istruire uno dei passeggeri fra quelli che hanno pagato profumatamente il viaggio. Il designato, dunque, finisce in manette. Vittima due volte, dei trafficanti e poi della giustizia, sulla base delle testimonianze.
Questi “dettagli” sono essenziali. Quanti scafisti sono finiti in galera senza colpa? E perché mai il cambio alla guida del gommone o del “relitto” messo in mare per l’ultimo viaggio, non ha mai avuto spazio nelle cronache? Ciò che accade nel Canale di Sicilia è inenarrabile. I morti per naufragio, ci raccontano, forse sono meno dei morti ammazzati, donne e uomini gettati in mare e sepolti nel cimitero di acqua e sale.