I 70 anni della Costituzione, un testo moderno e in parte inattuato

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Un delle tre copie originali della costituzione italiana esposta all'iniziativa "Montecitorio a porte aperte". Roma 9 novembre 2014. ANSA/ANGELO CARCONI


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“Dove c’è meno solidarietà, si è meno uguali e meno liberi”. È uno dei più attuali principi ispiratori in un momento storico stracarico di tensioni in cui sembra quasi smarrirsi la memoria del nostro passato. In un periodo inquietante persino di casi di razzismo e xenofobia, in cui la società si sgretola per interessi partitici, invece di ricompattarsi di fronte alle nuove sfide che ci attendono, diventa fondamentale il richiamo alla “nostra casa comune” e soprattutto all’idea di inscindibilità tra solidarietà e dignità, valori indissolubili che la Costituzione italiana tutela e promuove. Il 2018 è l’anno in cui la nostra Costituzione compie 70 anni. Approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947, settant’anni fa, il 1 gennaio 1948, entrava in vigore la Costituzione della Repubblica, sottoscritta dall’allora Capo Provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, con il suo patrimonio, di valori, di principi, di regole, che costituiscono il nostro tessuto democratico secondo la definizione dei padri costituenti. In questo inizio di nuovo anno, nei giorni in cui già impazza la campagna elettorale, per le elezioni di Camera e Senato, e in cui i vari schieramenti stanno definendo i programmi, diventa più che mai attuale e rilevante avere come riferimento la Carta Costituzionale. Se l’Italia ha “la più bella Costituzione del mondo”- come molti sostengono-oltre ai Padri Costituenti che l’hanno redatta, un merito va anche a uno studioso che l’ha messa “in bella copia”. Il controllo e la revisione dell’ordinamento giuridico, dal punto di vista linguistico, furono affidati al latinista siciliano, Concetto Marchesi, antifascista e militante comunista, affinché apportasse comprensibilità e sinteticità ai 139 articoli e alle18 disposizioni transitorie e finali(cinque di questi nel corso degli anni sono stati abrogati). Compito che egli assolse da par suo rendendo la Costituzione comprensibile a tutti in un periodo storico in cui l’analfabetismo era imperante: bella nella forma, nella chiarezza e comprensibilità. Uno statuto di rara efficacia, dall’alto valore linguistico, ove la linearità della forma e la semplicità delle parole si sposano con lo spessore e la complessità dei contenuti. Più di tre quarti dei vocaboli appartengono al “ lessico di base” poiché di uso comune e quotidiano. Lo sforzo di scrivere in modo chiaro ed efficace, soppesando il valore di ogni parola e facendo attenzione ai periodi brevi, di semplificazione e di chiarificazione dei concetti, rendono la fonte di diritto del nostro sistema, unica e di alto spessore letterario. Un testo giuridico sempre giovane e tutt’ora moderno. Facendo riferimento agli articoli dei principi fondamentali o della prima parte della Costituzione, quella dedicata ai ‘Diritti e doveri dei cittadini’, è facile notare come ancora oggi sorprendono per la loro previdenza e lungimiranza. In particolare gli articoli 2 e 3 riassumono, con parole magistrali e indimenticabili, decenni di riflessione filosofica, sociale e politica e delineano, in modo perfetto, il progetto normativo della presente Repubblica. Di fronte a un documento di settanta anni fa, è certamente lecito interrogarsi sulla sua attualità, sulla sua capacità di rispondere ancora adeguatamente alle esigenze dei cittadini di oggi, che riconoscono nella Costituzione un documento di spirito democratico che ispira e sorregge le norme. Non è soltanto il testo che contiene le norme fondamentali dello Stato: è anche il manifesto dei valori, delle idee che sono state alla base della costruzione repubblicana e in particolare i primi articoli vanno letti tenendo ben presente lo sfondo storico dal quale sono scaturiti. L’Articolo 2 della Costituzione “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. L’Articolo 3 : “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Concetti  ancora attuali, linee guida e punti di riferimento per i principi e i valori fondanti della nostra società. Se ancora oggi, dovessimo confrontare l’articolo 3 con gli articoli delle altre Costituzioni, a cominciare da quella tedesca del 1949 e dalle altre Leggi dello Stato, si potrebbe constatare che non c’è alcun articolo che sia così forte, lungimirante e che abbia innovato profondamente rispetto alla libertà, uguaglianza e fratellanza. L’Art. 3 della nostra Costituzione, insieme ad altri, ha la virtù di aver creato una “costituzione previdente”, una costituzione capace di guardare lontano. Oggi un articolo come il 3, sull’uguaglianza e la fratellanza, in un momento in cui tragicamente il mondo è prigioniero delle disuguaglianze, costituisce una guida sicura. Tuttavia il tempo trascorso dall’entrata in vigore della Carta Costituzionale non, del tutto, si è tradotto in progresso e la prospettiva storica sul lavoro al femminile, non completamente, segue il percorso dei diritti sanciti dall’Art. 3, circa il principio fondamentale di pari dignità sociale e di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge “…senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali” ovvero l’art. 37, laddove, si specifica, espressamente, che: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore…”. Ma è l’Articolo 1, l’architrave dell’intero testo costituzionale, che sancisce solennemente “ L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro…” e istituisce il concetto di uno Stato che affida al cittadino la responsabilità del proprio futuro e valuta la dignità. Principio che oggi sembra disatteso data la condizione di precarietà lavorativa come nuovo ordine sociale, in cui la possibilità di crescita individuale diventa un miraggio e la crescente mobilità sociale rimane un retaggio del passato.

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