Se l’arbitro è costretto a giocare allora eccole, una dopo l’altra, le carte che il Presidente della Repubblica Mattarella sta per giocare per inchiodare i partiti. Chi dirà no al governo «di servizio» si assumerà una serie di responsabilità: l’aumento dell’Iva al 25 per cento che solo un governo in carica con pieni poteri potrà scongiurare. Un costo di altri 400 milioni per il ritorno alle urne: non pochi, specie per chi fa del taglio ai costi della politica la sua bandiera. E un rischio ulteriore di non cavare un ragno dal buco con un nuovo avvio complicato di legislatura e di andare a quel punto verso l’esercizio provvisorio di bilancio, vera sciagura per l’economia italiana.
Cadono le diverse ipotesi sondate o valutate: perde quota Marta Cartabia, che per accettare un incarico altamente a rischio dovrebbe lasciare la Consulta dove è vicepresidente con prospettive di salire di un gradino; sembra tramontata anche l’economista Lucrezia Reichlin, ex direttore generale della Banca centrale europea, e ora docente alla London Business School; fuori dai giochi Elisabetta Alberti Casellati, per l’ulteriore garanzia che Mattarella ha inteso dare di figure «neutrali», che dovranno promettere di non ricandidarsi, per evitare il ripetersi di un caso Monti. Scelta maturata nelle ultime ore, per vincere una delle obiezioni più forti contro un governo tecnico, ossia il rischio che a un certo punto, premier e ministri possano essere tentati di “mettersi in proprio”.
Il prossimo presidente del Consiglio avrà il difficile compito di andare a cercare una maggioranza in Parlamento e dovrà condurre l’Italia alle elezioni, al massimo in primavera. Dopo una lista di 28 uomini dal 1946, chiedere a una donna di guidare il prossimo governo è una novità assoluta: non è mai successo nella storia d’Italia. Mattarella spera che in qualche modo questo possa avere un impatto forte sull’opinione pubblica spingendo i partiti a non essere ostili nei confronti dell’esecutivo “neutrale”. Il suo nome è noto agli addetti ai settori e agli ambienti internazionali, non certo al grande pubblico. Eppure Elisabetta Belloni potrebbe rientrare clamorosamente nella partita per Palazzo Chigi. L’ambasciatrice italiana e docente di Cooperazione allo sviluppo alla LUISS di Roma, sarebbe peraltro, secondo alcuni, molto vicina ad Alessandro Di Battista del M5s.
Un lungo curriculum con esperienze a Vienna e a Bratislava, dal novembre 2004 al giugno 2008 ha diretto l’Unità di Crisi del Ministero degli Affari Esteri ed è poi diventata direttore generale della cooperazione allo sviluppo della Farnesina dal 2008 al 2013 mentre dal gennaio 2013 al giugno 2015 è stata direttore generale per le risorse e l’innovazione. Ha lavorato gomito a gomito con l’ex premier Paolo Gentiloni quando quest’ultimo era ministro degli Esteri (è stata il suo Capo di Gabinetto dal giugno 2015), prima di venire promossa nell’aprile 2016 Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri.
Un profilo di alto livello quello della “dama di ferro” che la renderebbe perfetta soprattutto per uno scenario: quello di Presidente del Consiglio.
Elisabetta Belloni ha ricevuto onorificenze di alto livello sia italiane: Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana; e straniere: Cavaliere della Legion d’onore (Francia) “Per il contributo dato alla cooperazione bilaterale, in particolare durante le emergenze del Libano, dello tsunami in Asia e degli scontri in Costa d’Avorio”.
E’ stata la notte più lunga per Mattarella e il quadro rimane complesso ma se la scelta ricadesse su Elisabetta Belloni forse si chiuderebbe finalmente, e contro ogni previsione, questa laboriosa e sofferta partita politica.