Catania. Accanto alla lapide di Pippo Fava, il giornalista e drammaturgo assassinato la sera del 5 gennaio 1984 di fronte al Teatro Stabile dove andava in scena un suo lavoro, abbaglia il grande cartellone colorato del negozio Sexy Shop, adesso chiuso per rispetto. Ieri sera duecento persone sostavano lì dopo un breve corteo d’anniversario e per i passanti distratti potevano apparire folla in attesa di chissà quale speciale prodotto. Claudio Fava, il figlio deputato e scrittore, non si scoraggia: “Sono contento di questo, i due titolari mi dicevano di ammirare il coraggio di mio padre e di aver messo dei fiori”.
Dopo 34 anni, Catania non dimentica, anche se la città grande ha sempre voltato le spalle al coraggio e alle denunce degli intrecci politico-mafiosi di quel cavaliere solitario e del suo piccolo esercito di “cronisti carusi” de I Siciliani, che oggi hanno capelli brizzolati accanto a un gruppetto di ventenni eredi del messaggio con I Siciliani Giovani. associazione e giornale guidati da Riccardo Orioles. Operano nel difficile quartiere di San Cristoforo.
Poi sul palco del teatro il regista abruzzese Daniele Vicari presenta il suo film coprodotto da Rai Fiction sulla storia di Fava, che presto andrà in onda su Raino, dal titolo “Prima che la notte”, tratto dal libro di Claudio e Miki Gambino che lo hanno sceneggiato e che gli siedono accanto. E’ l’occasione per ritrovare pagine umane dentro il mito Fava, l’unico intellettuale italiano fatto tacere da Cosa nostra a colpi di pistola per conto di poteri non tanto occulti, la vicenda di un uomo che se ne stava tranquillo e ben pagato a Roma tra la Rai e il teatro e che decide di tornare a Catania per correre l’avventura di un nuovo giornale che doveva scalfire gli intrecci che soffocavano e soffocano Catania e la Sicilia, mettendo in gioco quella potente carica coraggiosa e scanzonata condensata oggi in quella sua famosa frase incisa sulla pietra: “A che serve essere vivi se non si ha il coraggio di lottare”. “I nostri morti – dice il regista Vicari, ripercorrendo le fasi della lavorazione del film girato a Catania – non sono statue, sono progetti di vita arrivati intatti sino a noi, io non racconto di una vittima, ma di un uomo con la sua carica vibrante di persona con le sue idealità e i suoi vezzi”. Gambino, uno dei “carusi” di Fava, ricorda quando nel tempo libero “il direttore ci portava al mare e faceva tuffi e baldoria con noi ragazzi, inflessibile sul lavoro, amico divertente fuori dal giornale”. Claudio poi crea il silenzio quando parla dell’incontro, tensivo e inaspettato, con il boss Nitto Santapaola nel carcere di Opera. “Io con una delegazione di parlamentari in visita lo vedo sdraiato sul letto della cella aperta, lui si alza e viene verso di me malfermo, non sapevo fosse rinchiuso là. Si avvicina e mi dice con l’aggiunta del dito medio “Non sono stato io e lo dirò anche al Padre eterno quando sarà”.
La serata culmina con l’ovazione, tutta la sala in piedi, verso la sorella della giornalista d’inchiesta maltese Daphne Caruana Galizia, uccisa con autobomba pochi mesi fa, che ritira il premio Fava per la prima volta alla memoria. Poi, tutti per l’assemblea e per una birra al Gapa di San Cristoforo per continuare un lavoro cominciato in una redazione tanti anni fa.
Anniversario Fava, dal sexy shop accanto alla lapide al premio alla giornalista uccisa Galizia
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