In una intervista rilasciata al quotidiano “Libero” nel 2016, Flavio Carboni parlava dei suoi rapporti con Pier Luigi Boschi, padre dell’attuale sottosegretario Maria Elena Boschi, con Tiziano Renzi, padre dell’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi e conValeriano Mureddu, imprenditore sardo, poi stabilitosi ad Arezzo. In questa intervista Flavio Carboni parla di un incontro che si sarebbe tenuto a Roma nell’estate del 2014 al quale sarebbero intervenuti il Mureddu, Pier Luigi Boschi e Lorenzo Rosi, ex presidente di Banca Etruria. Scopo dell’incontro era quello di trovare un nuovo direttore generale e nuovi partner esteri per ripianare il buco della banca. Al “Fatto Quotidiano” poi, confermava di avere incontrato per tre volte il padre della Boschi e di avergli fatto il nome di Fabio Arpe come direttore generale per la sua banca.
Senza volere esprimere valutazioni sulla opportunità di tale incontro dei suddetti personaggi con Flavio Carboni né essendo mia intenzione inserirmi nelle polemiche di natura politica che ne sono scaturite è invece utile delineare la Figura di Flavio Carboni del quale, tra l’altro, ci occupammo nell’ambito delle indagini che poi sfociarono nel maxiprocesso.
Sin dagli anni “70” vennero accertati rapporti di Flavio Carboni con esponenti della massoneria come Licio Gelli e della organizzazione mafiosa come Pippò Calò. Riferi’ infatti il collaboratore Francesco Marino Mannoia che Flavio Carboni e Licio Gelli avevano effettuato numerosi investimenti di denaro di provenienza illecita per conto di Pippo Calò, esponente di spicco della cosca corleonese di cui quest’ultimo curava gli interessi economici. Dichiarò poi Antonio Mancini, esponente della banda della Magliana, divenuto collaboratore, che Carboni “costituiva un anello di raccordo tra la banda della Magliana, la mafia di Pippo Calò egli esponenti della Loggia P2 di Licio Gelli.” Fu più volte tratto in arresto e sottoposto a vari procedimenti penali tra cui quello relativo all’omicidio del banchiere Roberto Calvi, come è noto trovato impiccato a Londra, sotto il ponte dei Frati Neri, omicidio dal quale venne assolto. L’unica condanna definitiva fu quella riportata nel 1988 (otto anni e sei mesi di reclusione) per concorso nel fallimento del Banco Ambrosiano.
Carboni venne anche imputato della ricettazione della borsa di Roberto Calvi contenente dei documenti relativi alle indagini da lui svolte. Nel corso di una perquisizione effettuata nella abitazione di Giulio Lena, implicato in una indagine condotta dal giudice istruttore del Tribunale di Roma su una multinazionale criminale di narcos e falsari e nella quale il Lena risultava implicato, venne rinvenuta una lettera inviata da quest’ultimo al cardinale Agostino Casaroli nel 1987 nella quale il Lena, esponente della banda della Magliana, chiedeva al cardinale la restituzione di un miliardo e 450 milioni di lire versate al “signor Flavio Carboni” il quale avrebbe trattato il contenuto della borsa di Calvi con il Vaticano, tramite padre Paolo Hnlica. Nella borsa di Calvi vi erano anche degli importanti documenti come la “lista dei 500 cioè di tutti coloro ai quali erano state restituite tutte le somme depositate con i relativi interessi prima che la Banca Finanziaria di Sindona fosse dichiarata fallita e che Sindona si recasse in America. La lista comprendeva personaggi di spicco della politica, dell’industria e di altri settori importanti. Flavio Carboni, Giulio Lena e Paolo Hinlica furono rinviati a giudizio per la ricettazione della borsa di Calvi. Dopo una serie di processi la Corte di Appello di Roma assolveva Carboni e Lena essendo il reato ormai prescritto.
Flavio Carboni poteva godere (e forse gode ancora) di amicizie di prestigio nel mondo della finanza, dell’editoria e dell’industria e secondo i magistrati ha avuto contatti con il pregiudicato mafioso Domenico Balducci, uomo di fiducia di Pippo Calò e con il finanziere italo svizzero Florent Ley Ravello, sospettato di riciclare capitali di pertinenza della mafia. Lo stesso intratteneva rapporti con personaggi al vertice della banda della Magliana quali Danilo Abbruciati ed Ernesto Diotallevi entrambi legati a Pippo Calò. Come scrive Francesco Pazienza nel suo libro “Il disubbidiente” fu lo stesso Carboni a presentargli Domenico Balducci, qualificandolo come suo socio in grosse operazioni immobiliari soprattutto in Sardegna. ”
Rapporti furono anche accertati tra il Carboni e Luigi Faldetta, soggetto che secondo quanto dichiarato da Buscetta rappresentava gli interessi Di Pippo Calò in numerosissimi affari apparentemente leciti. Tali rapporti vennero infatti in rilievo nell’ambito delle indagini che sfociarono nel cosiddetto maxi processo in cui il Faldetta fu imputato di associazione mafiosa. Si accertò allora l’interessamento di quest’ultimo in due società (Mediterranea s.r.l. e Agroedil Olmo s.r.l.) che avevano realizzato immobili in Porto Rotondo su terreni originariamente appartenenti alla S.p.A Punta Volpe, una società cui erano interessati tale Bruno Paolo e il finanziere elvetico Lay Rovello Florent, società passate, nel 1978, sotto il controllo proprio di Flavio Carboni. Fu inoltre accertata la partecipazione del Faldetta ad una operazione concernente il restauro del centro storico di Siracusa, operazione alla quale erano interessati il boss mafioso Pippo Calò e il Carboni. Lo stesso Carboni ebbe a dichiarare che a seguito di una segnalazione di Ugo Benedetti (della segreteria dell’onorevole Emilio Colombo), aveva iniziato, insieme ad Emilio Pellicani (braccio destro di Carboni e colui che aiutò Roberto Calvi a fuggire a Londra) dei contatti e dei finanziamenti da parte di un gruppo di siciliani che facevano capo a Pippo Calò, per eseguire l’ampliamento del porto e il restauro del centro storico di Siracusa. I siciliani furono identificati in Gaetano Sansone ( il costruttore che mise a disposizione di Riina, durante la latitanza, l’appartamento nel complesso di via Bernini) e Lorenzo Di Gesù (uomo di Pippo Calò). Il Carboni poi e il Pellicani, ammisero che erano abbondantemente finanziati da un gruppo di usurai che facevano capo a Pippo Calò e che i prestiti venivano effettuati, spesso, consegnando pietre preziose di ingente valore ma, comunque, molto sopravvalutate rispetto all’intrinseco valore delle stesse. (pag.ne 5240 e 5242 Ordinanza-sentenza del maxiprocesso).