Commissione antimafia: attenti, forse ce l’hanno con Montante

Commissione antimafia: attenti, forse ce l’hanno con Montante

La relazione annuale della Commissione nazionale antimafia, firmata dal presidente Rosy Bindi consiglia di non abbassare la guardia, perché le organizzazioni criminali, che pure hanno subito delle sconfitte, sono ancora molto vitali. La ‘ndrangheta è molto forte al Nord e nelle altre regioni le mafie si servono della corruzione per arricchirsi.

Il documento tocca un tasto delicato, e sembra volere avvertire i magistrati del pericolo di depistaggi e azioni a danno di chi combatte il fenomeno mafioso. Sarebbero nel mirino dei colletti bianchi in odore di mafia, quei settori della società civile che hanno svolto una forte azione di contrasto della malavita organizzata. Non è solo un’enunciazione generica.

“Nell’ultimo periodo – avverte infatti la relazione – si assiste a una crescente reazione delle organizzazioni mafiose e dei suoi poteri collegati (come ad esempio quello dei colletti bianchi) contro l’azione di contrasto alla criminalità organizzata nonché contro l’opera di legalità posta in essere in questi anni dall’Associazione confindustriale di Caltanissetta e, in generale, da quella regionale” di cui è presidente Antonello Montante. Che segna, quindi, un punto a suo favore.

Si tratta di un invito alla cautela nelle indagini delle Procure di Catania e Caltanissetta, che hanno iscritto nel registro degli indagati il presidente di Confindustria Sicilia per le rivelazioni di cinque collaboratori di giustizia.

“Sembra – sostiene il documento della Commissione – che la reazione di Cosa nostra, attuata su più piani, abbia come obiettivo quello di innalzare il livello di aggressione contro quel modello voluto anche da Confindustria Sicilia, che ha costituito, in questi ultimi anni, un elemento di forte discontinuità rispetto al passato”.

“In tale contesto sembrano iscriversi – continua la relazione – gli atti intimidatori consumati ai danni del presidente dell’I.R.S.A.P. (Istituto regionale per lo sviluppo delle attività produttive), Alfonso Cicero che, in data , rinveniva nei pressi del pianerottolo della sua abitazione nissena una valigia contenente bombole di gas e bottiglie di alcol. Prima ancora, durante il mese di aprile, una lettera con all’interno alcuni proiettili e messaggi di minaccia a lui indirizzati era stata bloccata all’Ufficio Postale Centrale di Palermo”.

Alfonso Cicero, nisseno come Montante, è bene ricordarlo, è stato fortemente voluto da Antonello Montante al vertice dell’Irsap. Per questa ragione, la relazione accende i fari su una possibile azione di rivalsa e di “mascariamento” dei personaggi che più si sono spesi nell’azione antimafia.

L’analisi dei magistrati della Direzione nazionale antimafia, contenuta nella relazione, apre un altro fronte, stavolta favorevole a Montante, sulle inchieste delle Procure siciliane, aperte dall’invio di un fascicolo da parte della Procura di Roma.

La relazione inoltre nega la tesi di una balcanizzazione della mafia palermitana e propende invece per una permanenza della sua sostanziale “unità”. Le famiglie agiscono, come sempre insomma, obbedendo ad un capo. “Deve peraltro confermarsi – scrive la Dna – che la città di Palermo è e rimane il luogo in cui l’organizzazione criminale esprime al massimo la propria vitalità sia sul piano decisionale (soprattutto) sia sul piano operativo, dando concreta attuazione alle linee strategiche da essa adottate in relazione alle mutevoli esigenze imposte dall’attività di repressione continuamente svolta dall’autorità giudiziaria e dalla polizia giudiziaria”.

“Dalle indagini emerge come, a più riprese, Cosa nostra abbia tentato di rinnovarsi – ricorda il Documento della Dna – attraverso una conferma delle sue strutture di governo a cominciare da quelle operanti sul territorio di Palermo ed in particolare con riferimento alla commissione provinciale di Cosa nostra di Palermo. A conferma che anche nei momenti di crisi Cosa nostra non rinuncia all’elaborazione di modelli organizzativi unitari e a progetti volti ad assicurarne la sopravvivenza nelle condizioni di maggiore efficienza possibile. L’organizzazione mafiosa – precisa la Dna – fa in questa fase storica particolare ricorso al suo patrimonio ‘costituzionale’ e, dunque, alle regole circa la propria struttura tradizionale di governo che, anche a prescindere dalla presenza sul territorio di capi liberi muniti di particolare carisma, le consente di affrontare e, purtroppo spesso, di superare momenti di crisi quale quello che indubbiamente sta ora attraversando”.

Gli inquirenti ritengono che vi sia in atto una cooperazione tra le famiglie mafiose della città di Palermo, “volta a garantire la continuità della vita dell’organizzazione ed i suoi affari. Tra questi in particolare devono segnalarsi un rinnovato interesse per il traffico di stupefacenti e per la gestione dei ‘giochi’ sia di natura legale che illegale. In tal modo l’organizzazione mafiosa nel suo complesso sembra, in sintesi, aver attraversato e superato, sia pure non senza conseguenze sulla sua operatività, il difficile momento storico dovuto alla fruttuosa opera di contrasto dello Stato ed aver recuperato un suo equilibrio”.

Nell’illustrare a Roma la relazione, il procuratore antimafia, Franco Roberti ha fato cenno al ruolo della Chiesa. “Avrebbe potuto fare molto di più – ha sostenuto – e in passato si è portata dietro moltissime responsabilità per decenni di silenzi”.

  1. Non prendiamoci in giro, please….

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