Dottor Calogero Buscemi, lei è un infettivologo palermitano di grande esperienza. Conosce bene le strutture pubbliche di cui la Sicilia dispone, dobbiamo preoccuparci per il virus Ebola?
“Viene considerata sovrastimata la preoccupazione dei paesi che si affacciano nell’area del Mediterraneo perché, vista la rapida incubazione della malattia (in media dieci giorni), i potenziali pazienti che dall’Africa occidentale si sposterebbero verso la Sicilia o aree prossime non avrebbero materialmente il tempo di sviluppare la malattia e poi sbarcare”.
Antonio Chirianni, vice presidente della Società Italiana Malattie infettive e Tropicali, ha dichiarato in una intervista che le regioni italiane più esposte geograficamente al rischio di importazione della malattia da virus Ebola sono le regioni costiere presso le cui aree portuali sbarcano periodicamente clandestini provenienti da paesi africani. Di conseguenza, afferma Chirianni, la Sicilia sembra essere la regione più interessata al potenziale contagio.
“I lunghi viaggi lungo l’Africa ed il Canale mediterraneo richiedono piu’ tempo. I collegamenti aerei dalle rotte dei paesi africani coinvolti sono bloccati ed i controlli delle autorità portuali ed aeroportuali sono serrati”.
Il lungo tempo di incubazione, fino a 21 giorni, dell’infezione da virus Ebola, rilevano alcuni esperti, può comportare la probabilità che un individuo asintomatico proveniente da paesi endemici manifesti la malattia al suo arrivo in Europa.
“La emergenza Ebola pur interessando oggi quasi esclusivamente i paesi dell’Africa occidentale, è un problema di emergenza sanitaria mondiale. In Africa occidentale, prevalentemente in tre paesi (Liberia, Guinea, Sierra Leone), abbiamo quasi il 95 % dei casi emersi da gennaio 2014 ad oggi, l’epidemia ha assunto connotati davvero devastanti per numero di casi e conseguenze sanitarie. Sono estremamente preoccupanti le proiezioni che prevedono di qua ad un mese e nei successivi mesi un progressione esponenziale di casi e relativi decessi”.
Per quale ragione l’allarme suscitato dall’epidemia, così lontana, è così alto? Che cosa spaventa di più?
“L’elevata risonanza e gravità della attuale epidemia scaturisce dalla alta contagiosità e dalla elevata letalità dell’infezione. Il semplice contatto con i fluidi organici del malato o del cadavere (sangue, saliva, sudore, urine, feci, sperma) produce il contagio della infezione che sviluppa la malattia conclamata con un tempo di incubazione di 10- 20 giorni“.
Sebbene l’infezione si trasmetta mediante contatto interumano diretto con organi, sangue e fluidi biologici, il virus permane a lungo, secondo Chirianni, nello sperma e pertanto i rapporti sessuali possono rappresentare ujn veicolo di diffusione dell’infezione anche a sei-sette settimane dopo la guarigione.
“Non esistono in atto terapie specifiche approvate che guariscono dalla infezione e da ciò scaturisce la elevata letalità che è del 50 %. La malattia insorge come un episodio influenzale con febbre, dolori muscolari, astenia, vomito, ma la sua gravità ed elevata letalità dipende dalle complicanze emorragiche che spesso insorgono. Per di più in Africa occidentale le strutture sanitarie non sono del tutto adeguate per una corretta gestione diagnostico/terapeutica della infezione; molte delle strutture hanno visto un esodo dei sanitari allarmati dalla alta contagiosità e letalità disarmando gli ospedali”.
E’ dunque giustificato l’allarme rosso, la massima allerta anche in Italia, e in Sicilia in particolare.
“L’allarme per i paesi occidentali in atto è allarme rosso per vari motivi, ma non ci sono numeri che avvalorano nessuna giustificazione in tal senso. Soltanto pochissimi i casi (circa dieci) confermati ad oggi nei paesi occidentali. Molti sospetti, ma pochissimi confermati. Tutti casi importati da pazienti provenienti dai paesi dell’Africa occidentale. Due soli casi, uno in Spagna ed uno negli USA sono insorti in quei paesi ma solo per contagio da soggetti provenienti dai tre paesi africani”.
In Italia in atto solo due centri sono considerati di riferimento per la patologia (Spallanzani di Roma e Sacco di Milano). Ma ormai capillare è nelle varie strutture italiane la rete che si sta organizzando per fronteggiare eventuali casi si dovessero presentare con corsi di addestramento del personale ed adeguamento dei dispositivi di protezione individuale per il personale sanitario e parasanitario.
Allo studio sono in fase sperimentale avanzata un vaccino prodotto in italia nel laboratorio di Pomezia ed una terapia con anticorpi monoclonali (ZMAPP) già sperimentata nello scimpanzé ed in fase assolutamente sperimentale in qualche caso umano con risultati positivi.
Dopo l’AIDS, probabilmente stiamo assistendo a una seconda epidemia che, se sfuggono determinati protocolli di gestione epidemiologica e sanitaria, potrebbe assumere connotati altrettanto allarmanti .











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