Giuliano Pisapia suona le campane a morto per il centrosinistra in Sicilia. “Sarà un tonfo”, prevede, in una intervista alla Rai. Può essere che abbia ragione, tutto sembra congiurare contro l’area politica che nel 2012, per la prima volta, vinse una competizione elettorale nell’isola con Rosario Crocetta: la scissione e la conseguente presentazione di due liste che dividono e dimezzano i consensi, la furibonda competizione nella sinistra, i due casi – Messina e Siracusa – in cui è saltata la lista Micari Presidente, la modesta notorietà del candidato, vissuto nel mondo accademico e costretto a confrontarsi con avversari che hanno mezzo secolo di battaglie politiche alle spalle, come Nello Musumeci, o il vento in poppa come il grillino Cancelleri, sono dei macigni con i cui si deve scalare la montagna.
Ci ricorda un film questa storia. Un film bellissimo, il cui protagonista, è un sognatore, Fitzcarraldo, che trasporta una nave sopra una montagna nel bel mezzo della giungla per costruire un grande Teatro dell’Opera a , piccolo villaggio amazzonico. Ce lo vedete Fabrizio Micari nelle vesti del sognatore Fitzcarraldo? Im probabile, è vero, ma se state dalla sua parte, dovete crederci.
Solo uno come Fitzcarraldo può far tacere le campane a morto di Pisapia suggerite da una visione amarissima del contesto. Una volta questo stato d’animo, congeniale alla sinistra, era avversato come un intollerabile sconfittismo, ora viene dileggiato e ridicolizzato come tafazzismo, che non è proprio un sinonimo, ma poco ci manca. Ma Pisapia è un uomo integro lontano dall’uno e dall’altro sentimento prevalente. Non sarà la Sicilia a suscitare il bisogno di vestire a lutto in attesa dell’ormai incipiente esito? Come spiegare altrimenti l’anomalia del de profundis recitato davanti al defunto, ancora vivo e vegeto?
In bocca ad un uomo di grandi risorse come l’ex sindaco di Milano, quel tonfo inevitabile, è sorprendente, e può essere spiegato solo con l’amarezza provata a causa della missione fallita: unificare i campi della sinistra. Dopo avere mediato per molti mesi, Pisapia ha messo le remi in barca, ed ha ricevuto anche un “benservito” dalla parte che sembrava a lui più congeniale, il MDP, che gli addebita una sorta di insopportabile non giustificata grandeur
Campo progressista, nato per fungere da collant, rischia di trasformarsi nel tempo come l’ennesimo piccolo partito della sinistra inquieta ed inquietante. Ed ad accelerare questa involuzione contribuisce in modo significativo la consultazione regionale siciliana del 5 novembre. E’ qui, nell’isola, infatti che sono venuti allo scoperto il corrivo e le insanabili fratture “personali” fra i leader della sinistra, seppure rappresentati da attori e figuranti locali.
La Sicilia, dunque, come terreno della prima battaglia sul fra le due sinistre, dopo la scissione. E’ qui che D’Alema, Speranza e Bersani vogliono contarsi, per interposta persona. E’ qui, ricordiamolo, che Pierluigi Bersani dismise per la prima volta l’abito di padre nobile del Pd e di uomo di mediazione e di pace, quando partecipò ad un comizio a Siracusa, per schierarsi, da ex segretario, contro le scelte del suo partito sul referendum costituzionale.
Quel giorno a Siracusa fu chiaro che le strade del gruppo dirigente dem si stavano divaricando e che niente avrebbe potuto far sperare che si tornasse indietro.
Le campane a morto le hanno suonate, insomma, quando il morto ancora era…vivo. Mentre i parenti, senza lacrime, esorcizzavano l’evento ferale con una incoscienza degna di finire sui libri di storia. Da scommettere in botteghino al lotto: ambo secco, 31 e 47, morto che parla. Appunto.











