Il primo fu Cesare Merzagora nel 1957, gli ultimi sono stati nel 2013 dieci saggi suddivisi in due commissioni. Sono i destinatari del cosiddetto incarico esplorativo, che durante le procedure per la formazione del governo il Presidente della Repubblica può chiamare a verificare se esistano i presupposti, ed eventualmente a dare un impulso, per arrivare ad una possibile soluzione della crisi. Oppure anche per favorire una fase di decantazione e guadagnare tempo in attesa che maturino le intese necessarie.
Solitamente si tratta di personalità super partes ma anche con una connotazione più politica rispetto a quella del Capo dello Stato, in grado quindi di avere un approccio bipartisan alle questioni, ma anche di inserire nel confronto tra le forze politiche quegli elementi che possano permettere di superare la fase di stallo. Profilo che richiama innanzi tutto la figura dei presidenti delle Camere, che infatti in alcuni casi sono stati chiamati a svolgere questa funzione. Il primo fu il presidente del Senato, Cesare Merzagora, nella fase che portò alla formazione del governo di Adone Zoli, dopo la crisi apertasi con le dimissioni di Antonio Segni il 6 maggio 1957.
Nel conferirgli l’incarico, il Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, spiegò che come suo supplente, la Costituzione gli conferiva “il compito di accertare quali concrete possibilità esistessero di costituire un governo in grado, per la composizione e il programma, di riscuotere la fiducia delle Camere e del Paese”. Merzagora accettò il mandato, spiegando tuttavia di considerare il suo compito limitato proprio a verificare se fosse possibile far nascere un nuovo esecutivo, rinunciando quindi ad una automatica trasformazione in incarico pieno, essendo opportuno ricorrere al presidente del Senato soltanto come estrema risorsa. Il 4 marzo del 1960, ancora una volta dopo le dimissioni di un esecutivo presieduto da Antonio Segni, Gronchi decise di chiamare come ‘esploratore’ stavolta il presidente della Camera, Giovanni Leone.
Anche in questo caso, l’accettazione della chiamata da parte del Capo dello Stato fu accompagnata dalla premessa che un incarico pieno ad una carica istituzionale poteva giustificarsi solo in presenza di una situazione particolare, come ad esempio la necessità di presiedere un governo destinato a condurre il Paese ad elezioni anticipate. Ipotesi non all’ordine del giorno, tanto che la crisi fu superata con la nomina del governo di Fernando Tambroni.
L’impostazione che porta ad affidare l’incarico esplorativo a Merzagora e Leone e i paletti posti dai diretti interessati nell’accettarlo, trova riscontro nella situazione che si crea negli anni Ottanta, quando è Amintore Fanfani, presidente del Senato, che viene chiamato dal Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, a coadiuvarlo nella ricerca di una soluzione per la crisi apertasi con le dimissioni del primo governo di Bettino Craxi.
Era il 4 luglio 1986 e 5 giorni dopo, terminata la sua esplorazione, Fanfani riferì al Capo dello Stato che dagli elementi raccolti emergeva la possibilità di arrivare ad una soluzione della crisi, che poi culminò con l’avvento del Craxi bis.
A Fanfani, da presidente del Senato, qualche mese dopo fu dato invece un incarico pieno per un esecutivo che avrebbe avuto come sbocco le elezioni anticipate all’inizio dell’estate del 1987. Era già accaduto nel dicembre 1982, al termine dell’ottava legislatura. Quel sesto e ultimo governo guidato da uno dei cavalli di razza della Dc fu appunto preceduto da una fase particolarmente complicata, conseguenza della tensione tra Democrazia cristiana e Partito socialista, che rese necessario anche l’intervento per la prima volta di un”esploratrice’, vale a dire la presidente della Camera Nilde Iotti, chiamata a questo incarico da Cossiga il 27 marzo del 1987.
E prima di arrivare ad elezioni anticipate, anche il Capo dello Stato Sandro Pertini, nella primavera del 1983, chiese al presidente del Senato, Tommaso Morlino, di esplorare se effettivamente emergesse l’incapacità del Parlamento di esprimere una maggioranza.
Come detto a guidare il governo che stava per dimettersi era Amintore Fanfani, chiamato qualche mese prima a lasciare lo scranno più alto di palazzo Madama per approdare a palazzo Chigi, in quella che sarebbe stata la fase finale della legislatura, circostanza che si sarebbe ripetuta nel 1987.
Una dimostrazione di come possa accadere che i presidenti delle Camere vengano anche ritenuti figure idonee ad assumere la carica di premier, in esecutivi destinati a gestire fasi di passaggio e di decantazione prima o immediatamente dopo le elezioni. Come accaduto a giugno del 1963, quando all’inizio della legislatura, il presidente della Camera, Leone, fu nominato da Antonio Segni presidente del Consiglio di un governo rimasto in carica fino all’autunno, prima della nascita del centrosinistra organico di Aldo Moro.
Sempre Leone, nel frattempo divenuto senatore a vita, si ritroverà premier per la seconda volta tra il giugno e il novembre del 1968, preparando la stagione dei governi di Mariano Rumor nel periodo che segnava la crisi del centrosinistra.
E sono proprio di quegli anni altri due incarichi esplorativi, durati appena un giorno, affidati dal Capo dello Stato, Giuseppe Saragat, prima al presidente della Camera, Sandro Pertini, il 24 novembre 1968, e poi a quello del Senato, Fanfani, il 2 agosto dell’anno dopo.
Nella legislatura successiva, il 10 ottobre del 1974, dopo la crisi del quinto governo Rumor, il Presidente della Repubblica, Leone, affida l’incarico esplorativo al presidente del Senato, Giovanni Spagnolli, che tre giorni dopo gli consegna una relazione scritta sui colloqui avuti. Dovette comunque passare ancora più di un mese prima che vedesse la luce il quarto esecutivo presieduto da Aldo Moro.
Sempre durante una delle crisi più lunghe e difficili, all’epoca del pentapartito, prima che si riuscisse a dar vita al sesto gabinetto presieduto da Giulio Andreotti, fu il presidente del Senato, Giovanni Spadolini, che dal 26 maggio all’11 giugno 1989 fu chiamato per un mandato esplorativo, che portò a termine dopo due giri di consultazioni, anche se dovette passare più di un mese per veder risolta una crisi durata alla fine 64 giorni.
Prima di sciogliere le Camere dopo le dimissioni di Romano Prodi nel gennaio del 2008, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, affidò al presidente del Senato, Franco Marini, l’incarico di esplorare se tra le forze politiche esistesse la possibilità di consenso su una riforma delle legge elettorale e di sostegno ad un governo che accompagnasse l’approvazione di tale riforma, assumendo nel frattempo le decisioni più urgenti.
Inedita la formula sperimentata invece dallo stesso Napolitano all’inizio della passata legislatura, dopo l’impossibilità di formare un governo verificata da Pier Luigi Bersani. Al termine di un rapido giro di consultazioni, il 30 marzo del 2013 il Capo dello Stato decise di formare due commissioni di lavoro, chiamate a stabilire contatti con i Gruppi parlamentari, per un confronto su proposte programmatiche in materia istituzionale ed economico-sociale ed europea. Un’iniziativa che avrebbe rappresentato il prodromo per la successiva nascita del governo di larghe intese presieduto da Enrico Letta.
Del primo comitato facevano parte Valerio Onida, Mario Mauro, Gaetano Quagliariello e Luciano Violante; del secondo, Enrico Giovannini, presidente dell’Istat, Giovanni Pitruzzella, presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato; Salvatore Rossi, membro del Direttorio della Banca d’Italia; Giancarlo Giorgetti e Filippo Bubbico, allora presidenti delle Commissioni speciali operanti alla Camera e al Senato in avvio di legislatura; e l’allora ministro per gli Affari europei Enzo Moavero Milanesi. (Sam/AdnKronos)