“Di intercettazioni ne parliamo ‘a babbo morto’, ma ‘babbo’ non è morto, tra l’altro forse vincerà le elezioni. Ne parliamo dopo il lungo periodo in cui è stato fatto, tutti concordi, uno scempio: telefonate sessuali personali che non c’entravano niente con nessun reato possibile e immaginabile, è stato passato tutto in gloria; è ancora tutto rintracciabile sul web; tutti gaudiosamente ne abbiamo fatto parte, ma lì il reato chi l’ha commesso, l’infrazione chi l’ha commessa? Tutti, pro quota”. Lo ha detto il giornalista Enrico Mentana, direttore del Tg La7, facendo riferimento alle intercettazioni telefoniche delle inchieste giudiziarie che hanno riguardato Silvio Berlusconi e riportate dai giornali negli ultimi anni.
Mentana è intervenuto a una tavola del convegno ”Giustizia penale e informazione giudiziaria”, organizzato dall’Università di Firenze nell’aula magna del Rettorato, a cui hanno partecipato Giovanni Canzio, primo presidente della Corte di Cassazione, Nicola D’Ascola, presidente della Commissione Giustizia del Senato, Donatella Ferranti, presidente della Commissione Giustizia della Camera, Beniamino Migliucci, presidente dell’Unione delle Camere penali italiane, Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica di Roma, e Carlo Verna, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti.
“Non ho mai visto un giornalista rubare degli atti, questo deve essere chiaro a tutti”, ha affermato tra l’altro Mentana.”Gli atti vengono dati ai giornalisti da chi ha interesse a darli, che poi sono i pubblici ministeri, i difensori, chi svolge ruolo di polizia giudiziaria. Tutte queste figure passano le carte ai giornalisti perché hanno interesse diretto o indiretto, buoni rapporti, fatti personali: quello che è non importa ma il giornalista è il terminale di un eventuale commissione di infrazione”, ha concluso Mentana. (Pam/AdnKronos)