Cercano di capire i suoi silenzi, di interpretarne il significato. Vorrebbero scoprire i pensieri che li sottendono per misurarli per decifrarne coglierne la gravità e misurare la qualità del “non detto”. Poi sale su un tram invece che sull’auto blu, e i gesti si pigliano la scena per intero, i silenzi vanno in soffitta e la diversità “straparla”. Sergio Mattarella è diventato oggetto di dotte analisi, editoriali autorevoli, attenzioni sobrie grazie all’uso misurato del discorso.
Il Quirinale del primo capo dello Stato siciliano è un’altra cosa? Che cosa bisogna aspettarsi?, si chiedono. Gli interrogativi saranno facilmente, e serenamente, sciolti nei prossimi giorni, il Colle non è un fortilizio ovattato ed i misteri non aleggiano sull’orizzonte.
Al fine di placare l’ansia, può essere utile qualche informazione. Il silenzio dei siciliani eredita una consuetudine alla riservatezza ed una antica diffidenza verso le parole. Può essere l’indizio di un carattere taciturno, di reticenza, furbizia, e suscitare perfino sospetti.
Ed essere scambiato per omertà o, in positivo, per saggezza, mentre è semplicemente cautela, voglia di esprimere ciò che serve e sbagliare meno possibile. Né più né meno. Una parola è “picca”, due parole sono assai, recita un vecchio detto siciliano. E basta “mezza parola” per assumere un impegno, scoprire una intenzione, istaurare un patto. La stretta di mano vale più della parola, e la parola più di una firma. Chi parla assai, infatti, non gode di grande considerazione, e la persona di poche parole gode di grande credibilità.
L’arbitro, inoltre, ha il dovere di ascoltare, su di lui incombe la responsabilità di decidere. L’abitudine all’ascolto è giudicata in Sicilia segno di autorevolezza, più che d’autorità.
Un editoriale del Corriere della Sera, a firma Michele Ainis, qualche giorno fà, dedicato ai silenzi del Presidente, tradiva fin dall’inizio lo stupore per le poche parole dell’inquilino del Colle. “Magari dura poco, magari fra qualche tempo sfoggerà in un eloquio torrenziale, costringendoci a tapparci le orecchie. Ma intanto la cifra di Sergio Mattarella in queste sue prime settimane al Quirinale si riassume in una parola muta: il silenzio”. E più avanti, scoprendo le carte, l’autore si lascia andare: “…Quel silenzio, lassù al Colle, rimbomba come un tuono”.
Il silenzio interroga, talvolta fa paura. Oltre lo Stretto, “chi tace, acconsente”, mentre nell’Isola chi tace, non è inerte, né succube, e non è detto che approvi. Tutt’altro. E allora, che cosa “nasconde” il parco uso della parola? Poco o niente, la voglia di essere come è: né protagonista assoluto, né un notaio, un burocratico garante della Costituzione. Giusto ciò che raccomanda ai giudici, suscitando buone considerazioni.











Forse è inchiffarato