Jihad, bomba umanitaria diretta
in Sicilia: 200 mila profughi

Jihad, bomba umanitaria diretta <br /> in Sicilia: 200 mila profughi

E’ emergenza nazionale, duecento mila profughi, tenuti in cinque campi di concentramento, in Libia attendono di imbarcarsi alla volta delle coste siciliane. E’ la bomba umanitaria che i mercanti, sostenuti dagli jihadisti, hanno confezionato per mettere in crisi la “frontiera” d’Europa, la Sicilia.

Siccome l’Isis spadroneggia nel caos libico, ed ha conquistato uno degli avamposti più importanti, la Sirte, c’è il timore che fra gli sventurati, in fuga dalle guerre e dalla fame, s’infiltrino dei “lupi solitari”. Non si può escludere niente. L’Italia viene così messa in croce: impossibile respingerli, sarebbe un’ecatombe per migliaia di uomini, donne e bambini. Impossibile acccogliere questa marea umana che vede nell’Europa una speranza di salvezza, l’unica.

Non solo la bomba umanitaria. Il terrore jihadisti scuote il Paese, l’Italia non è mai stata così esposta. E la Sicilia è a 200 chilometri dai tagliagole. Qualunque sia lo scenario –il contenimento dell’Isis con l’aeronautica o un intervento militare di terra sotto l’egida delle Nazioni Unite, il livello d’allarme non cambia. Nel primo caso, una Libia nelle mani dell’Isis, trasformerebbe il braccio di mare che separa le coste africane dalla Sicilia, in una spaventosa trappola, e le coste siciliane il fronte di ogni avventura jihadista per i prossimi anni, con gravi conseguenze economiche (petrolio, gas). Nel secondo caso, intervento militare di terra con i soldati italiani in testa ad una coalizione internazionale, la Sicilia sarebbe la prima linea dei combattimenti, perché è da qui, dalle basi aeree e marine siciliane che partirebbero la maggior parte delle azioni dirette in Libia.

Nei Balcani accadde qualcosa di simile, le coste italiane furono attrezzate con sistemi antimissile, e l’Italia partecipò, in misura modesta, agli eventi bellici con alcuni Tornado, niente di più, perché vige la regola che i paesi di frontiera non devono essere coinvolti direttamente nelle operazioni di peacemaking.

Stavolta le cose stanno diversamente, l’Italia manderebbe cinquemila soldati, sarebbe direttamente coinvolta, ed è possibile perciò attendersi azioni di rappresaglia, la cui entità oggi è impossibile prevedere. In più la coalizione internazionale sarebbe impegnata in un’azione di peace enforcment e – aggiungono – state building. Non è una missione di interposizione fra contendenti, una presenza militare chiamata a garantire la pace ed il rispetto di accordi, ma un intervento mirato alla repressione di un esercito efficiente, l’Isis, ben equipaggiato, e votato alla morte, spalleggiato da miliziani di vario colore e natura, sparsi sull’immenso territorio libico e sui “lupi” solitari presenti in Europa.

C’è stata una riunione tecnica al Viminale, presieduta dal Ministro dell’Interno, Angelino Alfano, per rafforzare i presidi di sicurezza. “Non c’è più tempo da perdere – ha affermato il Ministro – il Califfato ce l’abbiamo alle porte di casa, l’Onu si muova per fermarlo”. Il Ministro degli eEsteri Gentiloni, e il premier Renzi, riferiscono che l’Italia sta lavorando perché l’Onu, e l’Europa, prendano coscienza della necessità di “muoversi”. Rispetto a qualche giorno fa, c’è stata più cautela nelle loro parole, è stata spostata l’attenzione sulle decisioni dell’Onu, prioritarie, e sulla “diplomazia” al lavoro per creare le condizioni di un intervento meno impegnativo.

Ma a parlare finora sono solo gli italiani. Silenzio a Washington, silenzio a Bruxelles. Holland parla con gli egiziani, che hanno più di un motivo per combattere l’Isis, dopo la decapitazione di loro connazionali, colpevoli di essere cristiani. Al Thani, il capo del governo libico riconosciuto, da Tobruq invita l’Italia ad intervenire, perché è proprio la Penisola il bersaglio dell’Isis. Vuole aerei, però, e non truppe di terra. Teme di perdere la leadership militare, che ha ottenuto dal vicino Egitto.

Il teatro di guerra vede sul campo una decina le milizie (Haftar, Ansar Al Sharia, Sciy, Zintan, Al Sawaiq, Martiri del 17 febbraio, Tuareg, Tounbou). Il nemico è l’Isis, ma gli altri, a parte Haftar, da che parte stanno ?

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