1/Il silenzio e la parola
della Chiesa sulla mafia

1/Il silenzio e la parola <br /> della Chiesa sulla mafia

I membri della mafia siciliana – così come quelli di organizzazioni criminali analoghe, tra cui la ‘Ndrangheta – si sono tradizionalmente presentati come cattolici devoti. Il loro rituale di iniziazione notoriamente si avvale di giuramenti, immagini ed evocazioni di stampo religioso. Vi sono stati casi di confraternite incentrate sul culto di santi o della Madonna in cui i mafiosi locali svolgevano (e forse talora ancora svolgono) un ruolo di spicco. Anzi, l’origine stessa di certi sodalizi mafiosi si intreccia talvolta proprio con alcune di tali confraternite (e in genere presuppone un patto di affratellamento). Diversi mafiosi al momento della cattura sono stati trovati con il rosario e una Bibbia sul comodino, e avevano cercato di mantenere, durante la latitanza, un rapporto con i riti e i sacramenti della Chiesa cattolica.

D’altro canto, è lampante l’assoluta inconciliabilità tra la condotta del mafioso – che è fatta di violenza e comunque, anche quando questa non viene fisicamente usata, di prevaricazione – e il verbo cristiano, il quale invece comanda non solo il rispetto della persona e dei diritti altrui, ma anche l’amore verso il prossimo. Sorge allora una domanda spontanea: come è stato mai possibile che i mafiosi si siano normalmente illusi di essere dei cattolici, o comunque – prescindendo da ciò che veramente pensavano e sentivano nel loro intimo – abbiano ritenuto di poter essere accettati come tali?

Un primo tentativo di risposta rinvia al concetto di mafia “tradizionale”. Si potrebbe così sostenere che nei piccoli comuni o nelle borgate delle città, in periodi precedenti al boom edilizio e al traffico di stupefacenti (che, con una escalation dei profitti, avrebbero comportato una trasformazione del fenomeno mafioso), gli uomini d’onore erano bene inseriti nella comunità locale, godendo di rispetto e prestigio, e all’apparenza si limitavano a gestire affari, comporre controversie, in certo qual modo garantire l’ordine. Pertanto, era loro interesse accreditarsi come buoni cristiani. I parroci inconsapevoli dal canto loro non avrebbero avuto motivo di trattarli diversamente dagli altri fedeli. Così vi erano capimafia in posizioni di responsabilità all’interno di istituzioni religiose (come uno che amministrava la mensa arcivescovile di Monreale), o imparentati con prelati (come Calogero Vizzini).

Un argomento del genere, tuttavia, è fallace, perché si basa su una presunta alterità della mafia tradizionale rispetto alla mafia “moderna”, imprenditrice . È vero che tra le due esistono salienti differenze, ma vi è un essenziale elemento in comune: entrambe hanno esercitato sistematicamente l’intimidazione, la prevaricazione e, ove necessario, la soppressione di chi si ribellava a esse (oltre che degli affiliati o contigui vittime di regolamenti di conti). Una violenza che, nel caso della mafia tradizionale, ha colpito sia contadini, piccoli proprietari, sindacalisti, sia anche esponenti delle classi più elevate (come Emanuele Notarbartolo) e amministratori locali di vari partiti (ivi compresa la Democrazia cristiana), tutti accomunati dall’essersi messi contro i malviventi.

Certamente la mafia “imprenditrice” a partire dagli anni sessanta ha compiuto gesti eclatanti, colpendo anche uomini delle istituzioni e della stessa Chiesa. Gesti che era impossibile non vedere. Ma anche in precedenza, come ho appena osservato, le violenze e gli omicidi non erano mancati. Se vi è stato silenzio, in definitiva, ciò non è dipeso dal fatto che una certa mafia fosse intrinsecamente migliore di quella odierna. Essa dava però assai meno nell’occhio. Solo chi avesse voluto scrutare attentamente i rapporti di potere nelle comunità locali avrebbe potuto distinguervi l’impronta dell’organizzazione criminale.

Prima di proseguire, per evitare ulteriori fraintendimenti, è bene chiedersi chi sia il soggetto del silenzio. La parola evangelica – cioè il contrario del silenzio – su cui si fonda la Chiesa è, lo si è già detto, incompatibile con l’atteggiamento mafioso . Se per “Chiesa” si intende piuttosto l’istituzione e in particolare i suoi vertici gerarchici, allora occorre ripercorrere le prese di posizione ufficiali, e se ne trovano di significative da un certo momento in poi, peraltro in tempi alquanto risalenti (gli anni sessanta, ma anche prima).

Se invece si intende l’ecclesia come insieme dei fedeli, allora entrano in gioco le storie personali e le responsabilità dei singoli. Tra questi, ve ne sono stati alcuni che hanno collaborato attivamente con i mafiosi, altri che hanno convissuto con il fenomeno senza prenderlo di petto, altri ancora che lo hanno contrastato attivamente, e non solo di recente (lo fecero, tra gli altri, Luigi Sturzo, o l’arcivescovo di Agrigento Giovanni Battista Peruzzo). Se poi dall’analisi dei documenti prodotti dall’istituzione si passa a quella dei comportamenti concreti tenuti dagli attori sociali, si pongono peraltro questioni metodologiche più articolate (successivamente si darà conto di alcune recenti prese di posizione di Papa Francesco e degli episcopati del Mezzogiorno).

(Da “Le Nuove Frontiere della Scuola, La Medusa editrice)

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