Si è consumato a Caltanissetta l’ultimo atto dell’Averna, lo storico marchio dell’amaro siciliano. Appena tre i dipendenti dell’azienda che potranno rimanere in Sicilia, il resto andrà altrove, se lo vorrà. L’intesa formata dalla Campari con le rappresentanze sindacali sancisce, di fatto, la fine della location siciliana. E’ un brutto segnale, un episodio che al di là delle maestranze coinvolte, conferma il declino economico ed industriale dell’Isola. La fine di un’epoca, sotto certi aspetti. Perfino il dopoguerra viene ricordato con nostalgia: l’aranciata Trinacria, la Birra Messina, i coni della Scalisi di Catania, per citare alcuni marchi storici. Tutto finito, o quasi.
L’uscita di scena della Sicilia dall’Averna è dovuto ad una scelta imprenditoriale della proprietà. E’ accaduto con la Fiat, sta accadendo, di fatto, a Gela con l’Eni. Un brutto momento, non c’è che dire. Che tuttavia presenta alcune anomalie su cui vale la pena di rifletere.
Mentre i “marchi” importanti fanno i bagagli aumenta il valore energetico, militare, informatico dell’Isola. La Sicilia conta infinitamente di più rispetto al passato negli equilibri economici del Paese, a cominciare dalla bilancia commerciale che si avvale della vendita di prodotti petroliferi e di gas prodotto o veicolato attraverso l’Isola.
L’Eni ha ripreso le trivellazioni a Gela ed a Ragusa (in joint venture coin altre compagnie), il gas proveniente dall’Africa viene trattato e veicolato attraverso l’Isola per poi arrivare sul mercato italiano ed europeo. Il Muos a Niscemi e altre strutture radatistiche nelle isole minori regalano il controllo di una vasta area del Mediterraneo. Le basi militari di Catania, Augusta e Trapani offrono una preziosa logistica alle forze armate dìUsa e, attraverso di esse, allo scacchiere della Nato. Le fibre ottiche, infine, attraversano l’Isola in lungo e largo, prima di re-immergersi nel Tirreno ed arrivare in ogni parte del mondo, assicurando la navigazione di dati e conversazioni audio-video, oltre che una sorta di “supervisione” del flusso informativo, ove necessario.
Il peso “politico” della Sicilia è quasi inesistente, al pari di quello industriale ed economico, mentre cresce quello strategico nel campo dell’energia, delle telecomunicazioni e della difesa. E’ questa la stortura più grave, un’anomalia che dovrebbe stare in cima ai pensieri delle forze politiche e sociali dell’Isola.











Mi pare che la Sicilia sia dimenticata da tutti, in primis dagli stessi siciliani, artefici del loro destino.
Durante il “regno” Cuffaro, di cui troppo spesso si ignora la consistenza, l’immagine, la durata, l’effetto, passò quasi inosservata la “svendita del Banco di Sicilia e dei suoi beni immobili non indifferenti, oltre alla sua storia, perdendo di fatto ogni anno un contributo fiscale di oltre 60 milioni di euro, “regalati” alla Lombardia …
Lo scempio in quel caso pre-meditato, trovò assente qualunque reazione politica, sociale, culturale, aggiungerei religiosa (visto che spesso il mondo religioso è attento ad un maggiore equilibrio sociale..).
La crisi oggi ci inonda e ci lascia impotenti ma la rabbia ormai inutile ed inefficace dovrebbe indurci ad ampie riflessioni considerando che i sintomi e gli annunci della chiusura di T.Imerese, ad esempio, risalgono a tre anni fa ed il solito metodo dell’attesa, dell’illusione di un ennesimo intervento di copertura economica a pioggia e fine a sé stesso (stile Fiat appunto, Alitalia etc..) non hanno fatto altro che sedare qualunque prospettiva di realizzare qualcosa di diverso, redditizio ed un futuro più tangibile.
La responsabilità politica paga un’incompetenza cronica di settore per ogni settore produttivo, il sindacato assuefatto alla cassa integrazione, unico obiettivo facilmente ottenibile (e vendibile..), i cittadini non certo preparati ad una visione prospettica lavorativa di un terziario in continuo cambiamento e la Chiesa sempre pronta a sentenziare che il lavoro debba essere garantito a tutti (e chi non è d’accordo ..) ma nei fatti non riesce ad essere incisiva ..
Amici miei, bisognerebbe creare una vera scala di valori e di entità e cercare iniziative concrete che possano avere una vera resa produttiva e per far questo ci vuole tempo che continua a scorrere inesorabilmente … intanto ci dedichiamo a quattro “operatori del ferro riciclato”.. sul tetto del municipio, si continua a manifestare (mi dovrebbero spiegare i sindacati per ottenere quale lavoro…) bloccando una città come Palermo che turisticamente propone giornalmente il tour dei forestali, del call center, delle partecipate, dei ferraioli, dei senza tetto, dei mercatini rionali, dei venditori ambulanti posti in ogni rotonda e così via in una galassia economica tutta siciliana dove ogni problema è vissuto alla giornata e le problematiche soggettive devono avere un risalto collettivo a costo della propria vita (??) quella di coloro che vogliono lanciarsi dai tetti ………
Godiamoci questa realtà e convinciamoci che i politici sono tutti manciatari … almeno siamo a posto con la coscienza …
Un caro saluto
Massimo M.
Certamente chi fruisce di basi, energia e connessioni non vuole un governo siciliano forte, in grado di chiedere un giusto compenso che vada a favore dei cittadini per l’uso del territorio isolano e tutti i danni collaterali, ambientali e di salute, provocati.
Costa meno ed è più utile fare in modo da tenere politicanti di bassa lega disposti a non fare troppe domande e resistenze e che consentono di mantenere il controllo sugli investimenti strategici.
La Sicilia si impoverisce! Meglio! La necessità porta ad accettare l’inaccettabile (danni ambientali, malattie etc.)
Averna come la Fiat. La desertificazione produttiva si è compiuta.
Nessuno si è mai chiesto del perché la Fiat ha chiuso solo a Termini Imerese, unico stabilimento al Mondo dismesso dal gruppo italo/americano/londinese/olandese. Nessuno si chiederà mai del perché anche la Averna storica azienda siciliana lascerà la sua sede legale di Caltanissetta trasferendola in altre parti della penisola. La risposta si chiama aliquota Irap! Una tassa iniqua, illegittima, squilibrata, discriminatoria verso altri territori del resto d’Italia, illogica, folle, stupida, generata da menti malate. Una tassa che incide direttamente sul costo del personale, obbligando le imprese a delocalizzare verso altri territori dove questa tassa è più bassa o inesistente, oppure a licenziare il proprio personale e trasformarsi in imprese commerciali, dove questa tassa non ha rilevanza. In pratica, l’Irap obbliga a delocalizzare e/o licenziare e/o chiudere per fallimento tutte le imprese manifatturiere che operano in Sicilia, tutto questo è confermato dai dati Istat, Svimez, Res, laddove è acclarato che nelle attività produttive in sei anni di crisi hanno perso il proprio lavoro oltre trecentomila occupati, numeri insignificanti per i nostri politicanti. E’ dimostrato come sebbene ben capitalizzata e ben affidata dal sistema bancario al terzo anno le banche sono obbligate a non concedere altro credito per il pagamento dell’Irap perché violerebbero le norme di Basilea. In Sicilia, l’aliquota di questa folle tassa è la più alta rispetto a qualsiasi altro territorio del resto d’Italia. Questo significa dumping istituzionale praticato dalla Regione Siciliana nei confronti delle imprese siciliane. Le imprese stanno abbandonando l’Isola, ormai è acclarato e testimoniato dalla percentuale solo del 6% di attività produttive che incidono sul totale del pil siciliano. Solo 90 mila lavoratori sono impiegati in attività produttive su un totale di occupati. Nel corso di questi 7 anni di recessione/depressione si sono persi quasi 400.000 occupati di questi due/terzi nelle attività produttive. Ma non è tutto, la realtà supera anche la nostra immaginazione, il nostro governo regionale non contento di ciò ha fatto ancora peggio: si è obbligato nei confronti dello Stato a mantenere per 30 anni questa aliquota al massimo consentito per garantire il rimborso di un mutuo contratto con la CDP per pagare debiti da spesa corrente. Al peggio non c’è mai fine!