Silvio e la legge del quid. Se non lo trovi in casa, sono guai

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In principio ci fu Pierferdinando, di cognome Casini. Il quid era in lui. Poi venne Gianfranco, Fini di cognome. Fu in odore di quid a lungo. L’incantesimo si spezzò, malamente. E iniziò la stagione di Angelino, Alfano di cognome. Siciliano di Agrigento, delfino per vocazione. Berlusconi era in lui, e lui in Berlusconi. Fino a che, un giorno come un altro, credo che il Cavaliere si trovasse all’Estero, il popolo venne informato che il quid non ce l’aveva. La notizia fece il giro del mondo, poi si fermò a Genova, in Liguria, dove Berlusconi ebbe un indizio che da quelle parti il quid albergava. E venne Giovanni Toti, oggi felicemente Presidente della Regione Liguria. Ma un indizio non è un  a prova, Toti fu consigliere, ma nulla di più. Ed anche questa volta la Corte di Arcore, tirò un sospiro di sollievo.

Il Leader avrebbe potuto adottare una moglie, mai un figliolo politico, un delfino insomma. Le cene eleganti, partecipate da decine di Ruby, ebbero fine, lasciando una coda velenosissima, che avrebbero trascinato Silvio Berlusconi sul banco degli imputati. La ricerca del quid si fermò. Una pausa di riflessione. La Corte di Arcore, pacificata, perse il pelo ma non il vizio: litigiosissima, si divise fra fautori del patto di ferro con Matteo Salvini, erede di Umberto Bossi, e sostenitori dell’autarchia, della via liberale e moderata: uniti in battaglia, felicemente single a casa propria.

In un clima surreale alla vigilia della recente competizione elettorale, senza l’affanno del quid, Silvio incrociò i guanti con Matteo, accettando la sfida. L’ultima. Chi raccoglie più voti, si prende la leadership. La sconfitta, amarissima, avrebbe consegnato il centrodestra all’ambizioso e sbrigativo capo leghista. Nei giorni delle consultazioni al Quirinale, il Leader, disceso dal podio, mimò la rappresentazione di un comandante in campo inadeguato. No, nemmeno lui, Matteo, aveva il quid.

Ma stavolta il giudizio del Cavaliere non valeva proprio niente. Il quid Matteo Salvini se l’era dato da sé.

Invece che piangere sul latte versato, con la consueta lena, non scalfita dagli ottanta anni suonati, e qualcosa di più, Silvio decide di riprendersi quel che è suo, la ricerca del quid, annunciando la prossima nomina di un vice presidente.

La Corte di Arcore tace. Sono giorni infelici per tutti. Aspetta il nome del delfino. A tempo ormai abbondantemente scaduto. La legge del quid non lascia scampo: se non lo trovi in casa, sono guai. Si trova altrove e non ti appartiene.

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