Lo storico francese Georges Duby racconta con dovizia di particolari la lunga attesa della morte di Guglielmo il Maresciallo. La sua morte è una cerimonia sontuosa, una morte-spettacolo così come è stata la sua vita tutta tornei e battaglie. Giunto all’età di 80 anni, il Maresciallo sente arrivare l’ultima ora, si adagia nel suo letto e si dispone agli onori riservati al suo rango (maestro di due re inglesi) Le sue condizioni di salute sono abbastanza buone, ma l’ora della morte non è più procastinabile. Va annunciata in anticipo. Il Maresciallo riceverà così in vita gli onori che appartengono al suo rango e si prenderà il tempo sufficiente perché si consumino le cerimonie.
Il fine vita è oggi oggetto di disputa ideologica e religiosa fra coloro che si battono per il diritto di disporre della loro vita, e coloro che attribuendo alla vita il valore di un dono di Dio, non danno ad alcuno il diritto di privarsene. Questa disputa si combatte talvolta accanto al letto del morente. Staccare la spina è peccato per alcuni, gesto di compassione per altri.
Per i sopravvissuti, comunque, prevale oggi la considerazione che la morte non sia la naturale terminazione della vita, ma una maledizione che si abbatte sulle creature di questo mondo. IL cordoglio, infatti, sembra indissolubilmente legato all’ingiustizia dell’evento. Se ne vanno sempre i migliori, recita un vecchio detto.
Negli ultimi mesi abbiamo vissuto tre eventi che hanno coinvolto profondamente l’opinione pubblica. In ordine cronologico, il primo, ha avuto per protagonista Nadia Toffa, simpatica eroina delle Iene. Il suo improvviso mancamento e le successive infauste previsioni sulla vicina ineluttabile fine, hanno suscitato grande sofferenza nei telespettatori. Le previsioni si sono rivelate errate, per fortuna di Nadia Toffa, e nostra (che potremo tornare a vederla, pimpante e brava come prima). Nadia è tornata a sorridere e a saltellare sulla scena.
Meglio di così non poteva finire. Eppure, c’è chi c’è rimasto male, si è sentito tradito, quasi che avesse consumato la riserva di cordoglio e dispiacere che aveva in dotazione. “Mi sono sentita presa in giro” le scrive su Instagram una giovane donna. “Nella prima puntata hai detto che eri guarita in 2 mesi e la cosa mi ha sorpresa, che ti sentivi figa, essendoci passata sia io che altre donne nelle stesse condizioni ci siamo rimaste male”. “Quello che hai detto non mi ha aiutata” scrive un’altra, affondando il dito sulla piaga.
Quando le voci dissonanti sono diventate centinaia la conduttrice delle Iene ha dovuto dire la sua. “Nessuno di noi può parlare di guarigione e nemmeno la sottoscritta lo ha fatto – scrive -. Quello che puoi fare però è affrontare la vita col sorriso, combattere la tua battaglia con energia, facendoti sostenere dagli altri. Ma ognuno ha il suo modo e io rispetto il tuo. Dunque fai lo stesso con gli altri”
La morale di questo episodio lascia sgomenti. Una volta che si è parlato di morte, morte sia. Non si può scherzare con queste cose.
Gli altri due episodi hanno riguardato due personaggi del mondo dello sport e dello spettacolo, Davide Astori, brillante calciatore della Fiorentina e della nazionale italiana, e Fabrizio Frizzi, conduttore televisivo e showman amatissimo. E’ stato lutto nazionale per entrambi.
Astori se n’è andato all’improvviso, nel suo letto, all’età di 31 anni circa. Era una persona per bene, solare e corretta. Il cordoglio è stato unanime, ha oscurato la dipartita di uomini e donne che hanno fatto la storia del paese nel mondo della cultura, delle arti, della scienza e della politica. Sicché c’è stato chi ha arricciato il naso quando ha preso atto che il più grande scienziato vivente (il britannico Stephen William Hawking, cosmologo, fisico, matematico e astrofisico), morto nel Regno Unito, se n’è andato quasi insalutato ospite. Avrebbe dovuto essere celebrato quanto e più di Astori. I valori, è la critica pretestuosa, sono stati rivoltati come un guanto.
Poi Fabrizio Frizzi, anche lui, come Davide Astori persona perbene popolare, amatissima. Il doppio degli anni di Astori, ma giovanile quanto lui, e soprattutto ogni giorno sul video. Di casa per gli italiani. Gente comune e vip. Lacrime, rimpianto, rammarico, dolore, cordoglio. L’arco dei sentimenti è stato per intero consumato. Aveva regalato compagnia, amicizia, sorrisi. E’ stata la celebrazione dell’uomo normale, amato per la sua bonomia e correttezza più che per il talento. Solo la morte di Pontefici come Giovanni XXIII o il polacco Woytila, il Presidente Pertini, hanno destato tanto cordoglio e rimpianto.
Meritava tanto? Certo che sì. E Astori? Anche lui, nel suo mondo era un mito. Sarebbe un errore attribuire al merito il giudizio di valore e servirsi della matematica o dell’algoritmo più sofisticato per realizzare una classifica delle buone pratiche davanti alla morte.
Ci sono peraltro uomini eccezionali, ignorati in vita e dopo la morte. O viceversa. I percorsi della memoria, ricordiamocelo, sono imperscrutabili, quelli del cordoglio, invece, sono riconoscibili e trasparenti, come nel caso di Astori e Frizzi, ma di breve durata.
In più, il “morire” oggi ci sorprende sempre e comunque, al tempo di Guglielmo il Maresciallo era un evento atteso, naturale e accettato.
Gli unici che ci fanno entrare in confidenza con la morte, strappandoci perfino un sorriso, sono i burocrati. Nella richiesta dell’«autodichiarazione d’esistenza in vita» ammoniscono i morti che «in caso di dichiarazione mendace» saranno perseguiti ai sensi del «Dpr 445/2000».
Sembra un esorcismo, ma non è così.