Il Foglio dedica grande attenzione al risultato elettorale in Sicilia. A ben ragione. Nell’Isola si è “consumato” il trionfo del Movimento 5 Stelle, che ha raggiunto e talvolta superato il 50 per cento dei suffragi. Quasi un plebiscito, ottenuto a spese degli avversari, il centrosinistra soprattutto, ma anche il centrodestra, sul quale si nutrivano grandi aspettative ad Arcore per evitare di scendere dal podio a favore della Lega di Salvini.
Il Foglio pone due questioni: la qualità del voto, che potrebbe contenere elettori non proprio specchiati; la seconda, è il repentino ritiro del consenso al centrodestra, che aveva conquistato Palazzo d’Orleans appena quattro mesi prima con Nello Musumeci.
Il giornale, con un articolo firmato da Giuseppe Sottile, si chiede se al trionfo abbiano contribuito anche quelli che hanno fatto ciò che hanno voluto in Sicilia e, insoddisfatti, sono approdati sul nuovo continente, scoperto da Beppe Grillo, dopo una faticosa nuotata lungo lo Stretto di Messina.
Poi si fa un’altra domanda: che cosa ha mai fatto pentire i siciliani di avere dato il loro consenso al centrodestra, in così breve lasso di tempo?
Le questioni sono formulate in modo intrigante e vale la pena riferirle nei tratti essenziali.
… dove sono finiti i boss che partivano in massa verso Arcore al solo scopo di stringere col Cavaliere Nero un patto scellerato di mutuo soccorso e puntualmente intramavano ogni sorta di nefandezza pur di fermare il radioso cammino delle masse popolari che si incantavano davanti ai quadri di Guttuso e intanto votavano per il glorioso partito di Achille Occhetto?…. e se l’abito della rivoluzione, tirato fuori dall’armadio il 4 marzo, fosse l’ennesimo travestimento di una Sicilia seducente e verminosa, furbesca e irredimibile?
Qualche risposta Il Foglio l’azzarda, non si tira indietro. Quattro mesi di bagnomaria e di stramberie – non ultime quelle di Vittorio Sgarbi, assessore ai Beni culturali – non potevano, ovviamente, che seminare disagio, delusione e, perché no, anche una buona dose di rabbia e indignazione. A tutti i livelli…Sono rimasti fortemente delusi tutti quei siciliani che vivono da anni, da troppi anni, adagiati sul ventre molle di uno stato sociale, slabbrato e clientelare, che ha distribuito prebende e privilegi a categorie ormai non più proponibili, dai forestali ai quali è consentito, oltre all’assegno pagato dalla regione, un doppio o triplo lavoro in nero, agli eterni precari del Lsu, del lavoro socialmente utile…
Si può non essere d’accordo sulle analisi e perfino indignarsi per qualche insinuazione, ma non è facile sfuggire ai temi che il risultato elettorale, ancor prima delle riflessioni del giornale, pone, e sulla rinuncia, da parte degli addetti ai lavori, a confrontarsi su di essi.
Invece che interrogarsi, in Sicilia il centrodestra, deluso per le aspettatite creare dal vertice di Forza Italia (l’inevitabile bis del successo delle regionali), ha aperto il fascicolo per processare Gianfranco Miccichè, ottimista oltremisura alla vigilia, oltre che solitario padrone delle ferriere.
Nel PD è in corso il consueto psicodramma, mentre le frange della sinistra radicale si rinfacciano errori ed omissioni e nel tempo libero trovano il modo di deridere e digrignare i denti verso gli “insopportabili” compagni dem, causa di ogni danno e fallimento.
Proviamo ad aprire uno spiraglio, considerando due circostanze. La prima: emigrazione dalle consuete nicchie trasversali e nuovo approdo dei boss. La polemica ha molti precedenti. Vennero poste le stesse domande quando l’attuale sindaco di Palermo incassò un trionfale settanta per cento di suffragi in occasione di uno dei suoi ritorni a Palazzo delle Aquile. Siccome, aveva denunciato il voto dei boss nei quartieri “mascariati” di mafia, gli venne chiesto conto e ragione dei suffragi ottenuti. Giusto come ha fatto Il Foglio, con molta eleganza, qualche giorno fa.
A chi ha memoria corta, ricordiamo che la Sicilia è la patria putativa del Movimento 5 Stelle. Ottenne un risultato straordinario appena si affacciò in Sicilia, alle regionali del 2012, fu il primo partito quanto a voti di lista, ma perse nella corsa alla Presidenza, com’è accaduto a novembre dello scorso anno.
Non c’è stato perciò un improvviso trasferimento sul carro dei vincitori, ma l’abbrivio prevedibile di una tendenza dell’elettorato siciliano a “provare” quel che di nuovo c’era sul mercato.
Chi crede che il miracolo sia venuto solo dal diritto di cittadinanza, promesso dai 5 Stelle, che rischia di trasformarsi in una clamorosa bufala, si sbaglia. I siciliani, e qui Il Foglio ci azzecca, non ne possono più di arruffoni, imbroglioni, mezze calzette, anime in pena e malandrini. Ciò non esclude che la pochezza dei governanti abbia provocato sfiducia anche nelle zone grigie, anzi. Ma è un dettaglio. Nelle grandi emigrazioni, c’è posto per tutti, buoni e cattivi.
Segnalo un episodio, uno dei tanti, che dovrebbe illuminarci su come sono andate le cose. In una delle circoscrizioni elettorali del palermitano si è svolto un duello impari fra il candidato 5 Stelle Aldo Penna, e il candidato azzurro Francesco Cascio. Conoscendo entrambi, alla vigilia non avrei dato alcuna chance al primo. Aldo Penna è un galantuomo che cerca clienti solo per il suo ristorante (Il Mirto e la rosa), e ne trova a profusione. Non promette, non fa favori, viene da una sinistra lieve e (quasi) romantica, la sinistra giovanile socialista e da una militanza radicale. In più, ad un mese dal voto, ha avuto un malore che l’ha costretto a stare in ospedale per tutta la durata della campagna elettorale.
Francesco Cascio, lo sfidante, è l’enfant prodige di FI. Inquieto, sicuro di sé, una campagna elettorale dinamica, attenta, senza risparmio di energie e risorse, con adunate oceaniche; un curriculum invidiabile, la guida di assessorati e stagioni politiche, la presidenza dell’Assemblea. Ebbene l’hanno votato solo gli invitati ai meeting, ha raggiunto il 18 per cento, mentre Aldo Penna ha appreso nel suo letto di ospedale di avere ottenuto quasi il 50 per cento dei suffragi.
La voglia di cambio ha asfaltato tutto e tutti, da Gentiloni, eccellente Presidente del Consiglio, all’enfant prodige Cascio, ammbizioso rappresentante del centrodestra.
Forse dovremmo semplicemente finirla con il criminalizzare l’avversario che vince, delegittimando la vittoria con insinuazioni. E’ un vizio che sta nel DNA della democrazia italiana. Viene da lontano. Dallo scontro furibondo fra Democrazia Cristiana e sinistra socialcomunista. Per la prima, i comunisti mangiavano i bambini ed erano asserviti a Mosca, grazie ai rubli. Per i secondi, la DC era una parocchia al servizio degli americani, ed il consenso era fasullo, ottenuto con i pacchi di pasta, con le prediche dal pulpito nelle chiese e con i mafiosi.
La delegittimazione è restata in piedi. Chi vince ha i mafiosi e i malandrini dalla sua parte, e non c’è altra spiegazione. Questo vale anche per i pentastellati, quando – sconfitti – per spiegare l’insuccesso mascariano l’avversario. E chi la fa, l’aspetti…
Se provassimo ad essere seri, che ne dite?