Le femmine di Gela, cresciute negli anni della guerra di mafia

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Sono trascorsi tanti anni, quindici credo, fui testimone di un episodio di violenza inaudita a Gela, protagonista una giovane gelese, passata alla storia, ancora quindicenne, come il capo di una banda di ragazzini che spalleggiava gli “stiddari” impegnati in una guerra senza quartiere a Cosa nostra negli anni ottanta. I ragazzini erano feroci, e lei li comandava a bacchetta, ma maneggiavano le armi con scarsa cura ed esperienza, e talvolta riuscivano a non centrare il bersaglio a pochi metri, per fortuna.

L’ex ragazzina, capo clan, era stata invitata a partecipare alla presentazione di un libro, scritto da una scrittrice siciliana di origine, milanese di adozione. Uno dei protagonisti del libro era proprio lei, la capessa, una tipa snella, longilinea, i capelli lisci, il fare guardingo.

Affianco’ la scrittrice, erano entrambi alle mie spalle, e converso’ pacatamente con lei, almeno cosi’ mi parve che fosse. Poi un grido soffocato, mi voltai indietro e vidi la scrittrice a terra. Aveva ricevuto un cazzotto che l’aveva fatta crollare a terra. Intervennero in tanti, la poveretta non ebbe danni, rimase stordita e poi si riebbe: non invei’, non disse una parola, non era spaventata. La “tigre” rimase immobile, non ruggi’, aveva fatto quel che doveva senza curarsi che attorno a lei c’erano divise di carabinieri, poliziotti, Guardia di Finanza. Non solo attitudine alla violenza, ma audacia o, com dicono i militari, sprezzo del pericolo.

La memoria di questo episodio non l’ho mai perduta, e quando ho appreso la notizia delle donne d’onore di Gela, il ricordo e’ riemerso vivido nella sua teribilita’. Della capessa non so piu’ niente, mi auguro che abbia abbandonato il suo carattere truce ed abbia una vita serena. Le donne d’onore di Gela, sospettate di dirigere lo spaccio di droga, il mercato e l’organizzazione, sono crescite in quel clima feroce degli anni ottanta a Gela, di sicuro lo hanno respirato, adolescenti.

Credere che le donne abbiano sostituito mariti, fratelli e figli, a Gela come altrove, e’ tuttavia azzardato, come credere che siano fuori della mischia. Il confine di genere non c’e’ piu’, quando serve le donne non fanno rimpiangere i “masculi” della famiglia, tutt’altro.

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