Gela, la storia di Ida: undici anni, malata di mente. Cerca di uccidersi, è custodita dalla scuola

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Quella che vi sto per raccontare è una storia vera, verificabile in ogni dettaglio, ma non può essere riferita con nomi e luoghi che permettono di identificarla. Ne avrebbero conseguenze dolorose molte persone.

La protagonista della storia è una bambina di undici anni, malata di mente che vive a Gela e frequenta, meglio sarebbe dire “è custodita” presso un istituto comprensivo nelle ore di lezione.

La scuola la accudisce come mneglio non sarebbe possibile: una insegnante di sostegno, l’accudiente e tre o quattro bidelli. Gli insegnanti di sostegno, tutti quelli assegnati alla scuola, si danno il turno per non lasciarla da sola in solo istante. La bambina malata, infatti, compie gesti ed azioni imprevedibili, anche pericolosi. Di recente ha gettato addosso ad una delle insegnanti di sostegno il banco di legno, procurandole una frattura.

Per poterla custodire la scuola ha realizzato un sistema di presidi di sicurezza, tra l’altro reti di protezione ai lati delle scale onde evitare che la bambina, in uno dei suoi frequenti raptus, si butti giù.

Primogenita di quattro figli, Ida – è un nome di fantasia – è stata abbandonata ancora in fasce dalla madre, poco dopo dal padre, che si è sposato e risiede in una città vicina a Gela. Il tribunale l’ha affidata, insieme ai tre fratelli e sorelle, ai nonni, che percepiscono un assegno per il mantenimento. Lo spichiatra infantile che la segue ha disposto una terapia, che però non viene eseguita. La bambina non si cura e la sua malattia di conseguenza si aggrava. E’ solo un miracolo che Ida non sia riuscita a farsi del male ed a togliersi la vita, perché è questo ciò cui aspira durante le sue frequenti crisi.

Gli assistenti sociali hanno riferito al dirigente scolastico che non riescono ad entrare in casa della bambina, la quale vivrebbe, praticamente fra quattro mura dalla mattina alla sera, forse con le persiane abbassate per evitare che venga notata all’esterno.

Nonostante tutto, però, i compagni di classe con i loro familiari, professori, insegnanti di sostegno e bidelli l’hanno praticamente adottata: provano grande pena per lei. Non sanno che cosa fare per aiutarla. L’età della bambina non permette una terapia di sostegno obbligatorio, il Tso, e la decisione del giudice, a sua volta, non permette altro che la condizione che vi abbiamo descritto.

Il giudice ha stabilito che l’affidamente ai nonni sia una buona scelta. Il dirigente scolastico, che ha preso a cuore la sorte della piccola, teme che possa accadere qualcosa di irreparabile e vive, insieme ai docenti, in uno stato di ansia che la mette a dura prova.

Il risultato è che Ida, custodita in una scuola pubblica, è vive il suo ultimo miglio. Ogni giorno di vita è strato strappato ad un destino segnato.

La nonna, cui Ida è stata affidata, ha invitato il dirigente scolastico a non servirsi, in caso di bisogno, di strutture pubbliche, nemmeno il 118, altrimenti si arrabbierebbe. E le ricorda, con molta determinazione e toni perentori, che in caso accada qualcosa le responsabilità sono della scuola, divenuto il surrogato del Centro di salute mentale.

Il luogo in cui avviene tutto questo è Gela, la città che in un anno conta 40 suicidi e tentati suicidi, il numero dei malati di mente ha raggiunto la cifra record di duemila unità, e registra tragedie tremende, come quelle capitate a quattro bambini uccisi dalle mamme in tenerà età. Una città senza presidi sociosanitari, con due soli psichiatri nel centro di salute mentale (per quasi ottantamila abitanti).

La storia della piccola malata di mente non avrebbe potuto che svolgersi a Gela, dunque: lei e i suoi tre fratelli sono stati abbandonati dai genitori prima, dalla società dopo. Ida deve la sua vita alla scuola che la custodisce ed agli angeli – i piccoli compagni di classe ed i professori – che l’hanno adottata.

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