Voto di scambio, meglio le promesse da marinaio che finire sotto processo?

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Se ci sono soldi di mezzo, il reato di voto di scambio è sacrosanto, altamente corruttivo, ma se si tratta di una promessa elettorale, magari mantenuta, qualche dubbio è legittimo. Fra gli addebiti consueti rivolti agli uomini ed alle donne che fanno politica è la disinvoltura con cui dimenticano le promesse fatte in campagna elettorale, quando c’è bisogno di attirare consensi.

Le promesse sono impegni per i destinatari, ma per chi le annuncia, invece, sono strategia elettorale, routine dettata dallo stato di necessità. Magari l’intenzione è buona – “se mi è possibile, questa cosa la faccio” – ma una volta passata la festa, come si dice, gabbato lo santo. Vengono travolti da altre priorità e tutto finisce nel dimenticatoio con grosso scorno per coloro che hanno creduto alle promesse.

Con il voto di scambio, diventato reato, c’è il rischio opposto: il mantenimento dell’impegno assunto in campagna elettorale potrebbe diventare “notitia criminis”, un possibile reato sul quale gli inquirenti hanno il dovere di indagare.

Meglio le promesse da marinaio o finire sotto processo e subire una condanna?

Mettiamoci nei panni del candidato che voglia osservare scrupolosamente la legge e l’etica. Fino a che punto può spingersi in campagna elettorale? Gli conviene forse rimanere sulle generali, affrontare le questioni che assillano il territorio, la comunità, grande o piccola che sia. Ma è questo il punto: mettiamo che c’è bisogno di asfaltare una stradina e che questo bisogno riguardi una decina di famiglie, non di più. La promessa è voto di scambio se la stradina viene asfaltata e una bugiarderia, da punire come imbroglio, in caso contrario?

Non c’è alcun problema, ovviamente, se la promessa si configura come un impegno politico che riguarda una intera categoria di lavoratori – farmacisti, operai siderurgici o altro – o la realizzazione di un’opera pubblica. Però, ecco, se l’impegno favorisce spudoratamente una categoria a danno di un’altra o un territorio, una comunità facente parte del collegio elettorale, allo scopo di avere un fiume di consensi, che cosa dobbiamo pensare, che la legge punisce il voto di scambio e non l’abuso di potere, il privilegio più insulso e smaccato?

Stiamo rendendo complicata la questione – voto di scambio – di proposito, perché nutriamo qualche dubbio sulla stessa natura del reato, che – è bene ricordarlo – è stato introdotto sotto l’impulso di un bisogno sacrosanto, spezzare le unghie alle mafie, ovunque esse operino, essendo invalsa la consuetudine da parte di candidati “disinibiti” di pagare le organizzazioni criminali in grado di imporre , o semplicemente suggerire, come comportarsi alle urne.

Non sempre, tuttavia, i buoni propositi vanno a buon fine. E la materia, voto di scambio, sfugge alla interpretazione unanime. Il reato potrebbe perfino trovare applicazione quando davanti al seggio delle primarie qualcuno rimborsa in anticipo l’elettore, regalandogli un euro, che dovrà pagare al gazebo per potere esercitare il suo diritto.

Le promesse fatte dal Presidente della Regione Puglia, De Luca, ai sindaci convocati alla vigilia del referendum, sono oggetto di valutazione perché secondo alcuni si sarebbe trattato di “voto di scambio”, anche se non sono state mantenute. Quel che conta, sarebbe infatti la volontà del “do ut des” e non il rispetto della parola data.

Innegabilmente c’è un po’ di confusione.

Crediamo che la “dazione” di denaro sia una discriminante valida, una concreta configurazione del reato. Ma questa è solo una nostra opinione, e noi non indossiamo la toga.

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