Il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, attraverso Il fatto quotidiano, ha suggerito maggiore umiltà a coloro che manifestano perplessità e dubbi sul processo che si celebra a Palermo sulla trattativa Stato-mafia. Teresi sospetta che abbiano letto solo parzialmente le carte e si siano fermati alla prima frettolosa memoria della Procura di Palermo (“Venti pagine, 15 dedicate alla storia, cinque ai fatti….”, secondo Giovanni Fiandaca).

Il Fatto ospita lo sfogo di Teresi all’interno di un articolo dedicato alla decisione della Corte di Assise di Palermo di respingere tutte le richieste di trasferimento del processo fatte dagli imputati. Il quotidiano di padellaro e Travaglio regalano poche righe al parterre dello Steri, sede del Rettorato dell’Università di Palermo, dove si è dibattuto, per la prima volta fuori dalle cronache giudiziarie, la “ragion d’essere” del processo sulla trattativa Stato-mafia.

Teresi liquida con una battuta gli argomenti del giurista Giovanni Fiandaca, autore del saggio dedicato alla trattativa  “tra processo penale e processo politico”, dello storico Salvatore Lupo, di Emanuele Macaluso, del magistrato Giuseppe Di Lello e di Luca Nivara, docente di diritto civile dell’Università di palermo. Il parterre dello Steri invero avrebbe meritato una foto ricordo per la qualità dei relatori e l’eccezionalità dell’evento, invece è stato quasi ignorato (La Repubblica gli ha dedicato un trafiletto nelle pagine culturali). Segno inequivocabile che l’intellighentia della sinistra garantista – tale era il parterre dello Steri – ha scarso seguito sulla cronaca giudiziaria.

Se le ragioni di Fiandaca sono state ospitate dal Foglio di Giuliano Ferrara, che ha ripubblicato il suo saggio proposto da una rivista specializzata, e sono pressocché ignorate dai giornali di orientamento progressista, vuol dire che piacciono al centrodestra e non piaccono al centrosinistra?

Vuol dire semplicemente che la cronaca giudiziaria – a Palermo, Roma, Milano – accoglie prevalentemente notizie, informazioni, opinioni che provengono dalla fonte primaria, l’autorità giudiziaria. Eppure la verità processuale, prima, durante e dopo il processo, non è l’unica verità, ma “solo” quella che abbiamo il dovere di rispettare, piaccia o no. Dar conto di una verità diversa, frutto di analisi accurata, può concorrere a rafforzare la prima o a modificarla mell’interesse della giustizia.

Il convegno dello Steri dedicato alla trattativa Stato-mafia non ha processato il processo, e i relatori che vi hanno partecipato – Di Lello, Lupo, Fiandaca, Nivara, Macaluso e Campione – non sono detrattori dei pm palermitani. Hanno semplicemente idee diverse, talune molto critiche, sulla “legittimità” del processo, per sua natura prevalentemente “storico”.

Giovanni Fiandaca già molti mesi or sono, ammonì sull’utilità della strada intrapresa, l’aula di tribunale, per ottenere la verità. Non sempre verità e giustizia si “spalleggiano”:  l’aula giudiziaria promette sanzioni, l’accusato cerca di sottrarsi ad essa in ogni modo, avendo a cuore l’esito del processo a lui più conveniente piuttosto che il contributo alla verità.

Il giurista palermitano propose una commissione di conciliazione, a mezzo fra arbitraggio e gran jury, richiamando l’alta scelta di Mandela, che privilegiò la ricostruzione storica, condegnando al suo Paese la verità sulle stragi, assassinii perpetrati durante l’apartheid fuori dai tribunali. Un patrimonio incommensurabile: i colpevoli non hanno potuto sfuggire al giudizio della storia, le vittime innocenti sono diventate l’architrave dell’identità nazionale.

Sulle prove, gli indizi, le testimonianze raccolte dalla Procura, l’ex magistrato Giuseppe Di Lello peraltro esprime profondo scetticismo (“quale sarebbe il filo che tiene insieme stragi e trattativa, il 41 bis, stabilizzato dopo pochi mesi dalla sua sospensione per i detenuti minori?  Sarebbero Conso e Mancino i terminali della trattativa?”), mentre lo storico Salvatore Lupo ricorda che non c’è mafia senza trattativa fra apparati dello Stato, confortato dal parere di Emanuele Macaluso, che evoca antiche ragioni di Stato che affidarono alla mafia la liquidazione dei socialcomunisti e del banditismo nel dopoguerra.

Giovanni Fiandaca – sua la critica più radicale – sostiene che il reato di trattativa non esiste, è stato creato da una campagna mediatica, che ha “criminalizzato” decisioni e scelte di esclusiva competenza del governo e delle forze di polizia.

link:

Fiandaca nega la ragion d’essere
del processo sulla trattativa