Parafrasando Galileo Galilei, a proposito di circolazione monetaria a livello globale, si può dire “eppur si muove” qualcosa. Il riferimento è all’”Abenomics”, la nuova politica economica del Paese del Sol Levante, guidato dal nuovo primo ministro Shinzo Abe, che punta ad una politica economica della crescita con l’innovazione e gli investimenti, la domanda interna e le esportazioni in quella che resta la seconda potenza economica del G7: il Giappone. Essa deve fare riflettere i “sacerdoti” del dogma monetarista europeo, della “Merkenomis” del rigore fiscale e dei pareggi di bilancio senza crescita, che con l’euro forte e la restrizione del credito hanno provocato la più grave recessione dal 1929.
La Bank of Japan (Boj) su indicazione del governo infatti, ha proceduto ad una maxi-operazione di espansione monetaria. Tra le principali misure definite, figura l’ampliamento dell’acquisto dei bond governativi, inclusi quelli a lunga scadenza, e di altri asset finanziari più rischiosi, seguendo la via principale percorribile per stimolare l’economia con i tassi di interesse vicino allo zero. L’allentamento monetario è una delle strategie portanti della “Abenomics“, le linee guida per risollevare l’economia giapponese e superare così, una deflazione che resiste da oltre 15 anni. La base monetaria passerà da 1.450 miliardi di dollari di fine 2012 a quasi 2.900 a fine 2014, con uno yen svalutato che faciliterà le esportazioni.
In Europa si discute sull’adozione di strade nuove in materia di politica monetaria, tra queste l’adozione di “monete complementari”. Si tratta di un modello fondato sull’economia reale, alternativa alle scatole vuote (e tossiche!) della finanza, che hanno fatto precipitare il mondo in una crisi senza precedenti.
Dagli anni ’80 del ‘900 ad oggi, si calcola che siano state introdotte circa 5000 monete complementari, in almeno 50 Paesi del mondo. I modelli di sviluppo sperimentati sono molteplici: si va da banconote reali messe in circolazione, a transazioni eseguibili solamente online; da economie fondate sullo scambio del tempo o sul baratto a valute che hanno un riferimento bancario. L’utilizzo e la diffusione di tali monete possano cambiare in meglio le regole del gioco finanziario, con un diverso equilibrio, più rispettoso degli interessi nazionali e delle comunità, tra globale e locale. John Maynard Keynes nella conferenza di Bretton Woods del 1944 propose il Bancor quale moneta internazionale complementare alle valute nazionali e la Clearing Union, una camera di compensazione tra crediti e debiti degli Stati.
La Sicilia, con l’art. 40 del suo Statuto Speciale, potrebbe sperimentare una moneta complementare. Luigi Einaudi, intuendo (e temendo…) tale opportunità, come ha ricordato anche lo storico Francesco Renda in “L’emigrazione in Sicilia”, parlò della possibilità in sede di Assemblea costituente che si potesse coniare “una lira siciliana diversa da quella italiana”.
Ai timori del governatore di Bankitalia, futuro presidente della Repubblica, replicò l’indipendentista Andrea Finocchiaro Aprile, con l’affermazione che “noi Siciliani ci compiacciamo, perché ci darà, in un giorno che ci auguriamo non lontano, la possibilità di creare utilmente una nostra valuta”; anche in considerazione che il modello pattizio alla base del nostro Statuto speciale d’Autonomia è fondato sul motto: “Due Nazioni in uno Stato”.
L’art. 40 dello Statuto siciliano recita testualmente: “Le disposizioni generali sul controllo valutario emanate dallo Stato hanno vigore anche nella Regione. E’ però istituita presso il Banco di Sicilia, finché permane il regime vincolistico sulle valute, una Camera di compensazione allo scopo di destinare ai bisogni della Regione le valute estere provenienti dalle esportazioni siciliane, dalle rimesse degli emigranti, dal turismo e dal ricavo dei noli di navi iscritte nei compartimenti siciliani”.
Il primo comma, in pratica, dispone per la Sicilia l’uso della lira, oggi l’euro. Il secondo comma prevede l’istituzione, presso il Banco di Sicilia (purtroppo oggi incorporato in Unicredit), di una camera di compensazione valutaria, che doveva occuparsi di destinare alle esigenze della Regione siciliana le valute estere provenienti dalle esportazioni siciliane, generatrici sempre di notevoli surplus commerciali, dalle rimesse degli emigranti che a hanno riempito le banche in Sicilia e attraverso di esse sostenuto il sistema industriale del Nord e la finanza speculativa, dal turismo che ha fa affluire nella nostra Isola notevoli quantità di denaro e dal noleggio di navi, che grazie ai notevoli flussi di traffico marittimo nei nostri porti, hanno sempre prodotto profitti significativi. E poiché per le valute straniere possedute dai siciliani doveva essere corrisposto un importo di pari valore in moneta locale, la norma in questione dava, sul piano sostanziale, al Banco di Sicilia la potestà di emettere le lire necessarie in ragione del corrispondente cambio. Lire che, pur avendo la stessa denominazione di quelle della Nazione italiana, avrebbero potuto acquisire nel tempo anche un valore di cambio differente, perché emesse sulla base di una riserva valutaria isolana.
Tale previsione contenuta nel nostro Statuto speciale, che è parte integrante della Costituzione repubblicana, non è mai stata attuata a causa all’ascarismo di una classe politica isolana prona al potere centralistico, e oggi avrebbe potuto liberare il popolo siciliana dal signoraggio tedesco dell’euro.
Interpretando secondo lo spirito del “diritto vivente” l’art. 40 dello Statuto speciale autonomistico, in ragione dell’adozione dell’euro in luogo della lira da parte dell’Italia, si può ragionevolmente sostenere l’istituzione in Sicilia di un istituto monetario regionale, autorizzato ad emettere una moneta complementare regionale, legata al ricavato derivante dall’attuazione del secondo comma dell’art. 40 dello Statuto e con valore legale solo per gli scambi nella nostra Isola, che immettendo liquidità nel sistema potrebbe stimolarne l’economia ed il lavoro.
Maurizio Ballistreri*
*Docente universitario di diritto del lavoro – Presidente del Comitato scientifico dei “Quaderni dell’Autonomia”










