(da Giovanni Burgio)
Nelle ultime settimane, e in particolare dopo i missili americani sulla Siria, molti si sono chiesti dove sono i pacifisti. E in tanti hanno sentito la mancanza di manifestazioni, cortei, sit-in, contro la guerra, per la pace, per il disarmo. A Palermo i primi a rispondere a queste richieste sono state le organizzazioni di matrice religiosa. Mercoledì 18 aprile, infatti, sul sagrato della Cattedrale alle 20.30 si sono radunate centinaia di persone richiamate dall’appello lanciato dalla Consulta diocesana per le aggregazioni laicali e dall’Ufficio per i problemi sociali e il lavoro della Diocesi. Assieme e accanto ad organizzare la manifestazione c’era la Consulta per la pace del Comune di Palermo. Un’iniziativa sostanzialmente caratterizzata da presenze e interventi multireligiosi e multietnici che ha visto, però, partecipare anche molti laici di varia ispirazione politica. Si raccoglieva, infatti, in quest’occasione l’esigenza da parte del mondo più militante e impegnato di fare finalmente qualcosa in favore della pace, di dire chiaramente un “no” alle armi e alla guerra. Tre giorni dopo, sabato 21 aprile, altra manifestazione e diversa impostazione. A scendere in piazza di pomeriggio sono stati i centri sociali, le organizzazioni dell’estrema sinistra, i vari comitati antagonisti e solidali con i popoli in lotta per la libertà. Poche persone e molte bandiere con slogan anti-Nato, anticapitalismo, per la smilitarizzazione della Sicilia, e perfino contro il Giro D’Italia in partenza da Israele. Serpeggiava al corteo una sensazione di smarrimento rispetto la manifestazione di tre giorni prima. Oltre nostalgiche considerazioni riguardo agli slogan, si notava la scarsa partecipazione e la presenza di “sempre le stesse persone”. Le conclusioni da trarre sono tante. La prima, e forse la più importante è “Si possono considerare pacifiste le manifestazioni degli anni passati? Non sarebbe meglio definirle antiamericane e antioccidentali?”. L’altra immediatamente successiva “Così come si estinta la rappresentanza politica della sinistra radicale e così come si è drammaticamente ridotta la presenza della sinistra parlamentare, allo stesso modo è ormai impossibile organizzare una rilevante protesta di piazza che possa richiamarsi a valori di civiltà, umanità, progresso sociale e libertà?”. Ma ancora più profondamente le domande investono tutta quanta la società attuale. Perché non ci sono più reazioni di massa di fronte a bombardamenti, eccidi e stragi? Perché prevalgono rassegnazione e scoraggiamento quando si vedono orribili violenze e terribili prepotenze? Come mai c’è una sorta di narcosi collettiva riguardo i popoli lontani, le sofferenze altrui, i soprusi perpetrati in altri continenti? Le risposte sono sicuramente tante e le analisi potrebbero anche essere molto complesse. Ma alcune ipotesi si possono avanzare e qualche certezza si può pure azzardare. Forse si preferiscono la protesta salottiera e l’opposizione comoda. Probabilmente c’è un movimento di allontanamento e di distanziamento da conflitti e problemi che non sono abbastanza prossimi. Potrebbe pur esserci il rinchiudersi nel proprio mondo fatto di cose e privilegi che non si vogliono mettere in discussione. In sostanza, un vivere bene e una vita tranquilla che non si vogliono toccare.