Vito Nicastri, il ‘signore del vento’, come definito dal Financial Times, è stato indicato dai magistrati come ‘vicino’, addirittura il prestanome di Messina Denaro. E per questo, già in passato gli avevano sequestrato beni per un miliardo e mezzo di euro. E a ben guardare fra le carte di società, anche con sede nel misterioso Lussemburgo, (ma pure ai rapporti d’affari fra suoceri, cognati e generi) non è difficile scovare singolari collegamenti con imprese e nomi vicini anche alle attività del palermitano Vito Ciancimino. Ma non c’è da stupirsi se si considera che l’energia, soprattutto la metanizzazione, tra gli anni ’80 e ’90 ha visto le società di don Vito interessarsi alla metanizzazione di Caltanissetta, Alcamo e a svariate opere nel territorio di Palermo.
Questo dice di Vito Nicastri la relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere
L‟operazione cosiddetta “Eolo”, condotta dalla Guardia di Finanza a Mazara del Vallo (Tp) ed in altri Comuni della provincia di Trapani tra gli anni 2003 e 2007 disvela oscuri intrecci tra imprese corruttrici operanti nel ramo energetico nazionale dell‟eolico e dipendenti pubblici corrotti, sotto l‟attenta ed onnipresente regia dell‟organizzazione mafiosa “cosa nostra”.
Il semplice esame degli atti rivela un indecoroso mercimonio tra consiglieri comunali legati a “cosa nostra” mazarese ed imprese impegnate nel settore energetico dell’eolico, nonché un susseguirsi di oscure cessioni di rami di aziende tra le anzidette imprese, che, a sua volta, dava luogo all’immediato trasferimento dei favori della mafia a servizio dell’impresa acquirente.
Difatti nel dicembre 2005 le società Sud Wind S.r.l. ed Enerpro S.r.l., che fino ad allora si erano avversate, pervenivano ad un accordo: i due progetti in precedenza presentati per le necessarie autorizzazioni venivano unificati e veniva designata per la realizzazione del parco eolico una terza società, la Eolica Del Vallo S.r.l., rappresentata da Nicastri Vito, che acquistava il ramo di azienda della Sud Wind S.r.l. mentre contestualmente i soci della Eolica Del Vallo cedevano alla Sud Wind S.r.l. il 20% delle quote di capitale della stessa Eolica del Vallo, con contestuale opzione del diritto di riacquisto delle stesse. La Sud Wind inoltre rinunciava al proposto ricorso al TAR contro il decreto VIA rilasciato in favore della Enerpro S.r.l. e cedeva tutti i contratti per la disponibilità delle aree interessate all‟iniziativa. Da questo momento in poi anche “cosa nostra” lavorerà per l‟attuazione del nuovo accordo, fermi restando i sottesi accordi corruttivi.
L’operazione “Via col Vento”, condotta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Avellino e per la quale é stato già richiesto il rinvio a giudizio di cinque persone per partecipazione ad associazione per delinquere (art. 416 c.p.), truffa consumata e tentata (artt.640bis c.p.) in danno dello Stato, finalizzata al reperimento di finanziamenti pubblici per la realizzazione di parchi eolici112, segna il ritorno sulla scena del crimine finalizzato all’illecito sfruttamento dell’eolico di Nicastri Vito, assieme ad altri personaggi dell’avellinese. Costoro, al fine di ottenere indebitamente le agevolazioni previste dalla legge 19 dicembre 1992 n. 488, stipulavano fittizi trasferimenti di diritti di superficie o di affitti di terreni destinati all’installazione delle turbine eoliche; indi, con la complicità di sleali funzionari di banche approntavano mendaci istruttorie bancarie circa la solvibilità della società richiedente e dei soci nonché false relazioni tecniche sulla piena utilità dei terreni ai fini eolici.
Nelle more le società siciliane Vento In S.r.l., Cooperativa Duecci a r.l. e Vento Del Sud S.r.l., facenti capo al Nicastri, cedevano alle società avellinesi I.V.P.C. Sicilia 2 S.r.l. e I.V.P.C. Sicilia 4 S.r.l., facenti capo a Vigorito Oreste, i rami di azienda relativi all’eolico, ma poco dopo venivano prodotte in banca note di “rescissione” o “annullamento” dei contratti di affitto e di cessione delle superficie a firma apocrifa dei proprietari dei terreni, grazie alle quali le società cessionarie accampavano una pretesa causa di forza maggiore nel ritardo asseritamente incolpevole dello stato di avanzamento dei lavori nei tempi prescritti, ottenendo così la proroga da 24 a 48 mesi del termine per la realizzazione degli impianti. A ciò si aggiunga che le cronache giudiziarie degli ultimi mesi dell’anno 2010 hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica alcune ulteriori vicende collegate agli appalti per l’energia eolica; la Dia, infatti, nello scorso mese di settembre ha sequestrato beni per 1,5 miliardi di euro ad un imprenditore originario di Alcamo, il signore del vento, come definito dal Financial Times, paventando che sia addirittura il prestanome del boss mafioso Matteo Messina Denaro.
Su questa scia si collocano anche gli avvenimenti che hanno come protagonista un imprenditore sardo, arrestato nel mese di luglio 2010 su ordine della magistratura romana nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti.
In particolare, nell’indagine siciliana gli investigatori hanno ricostruito la mappa patrimoniale degli ultimi trenta anni e rilevato l’esistenza di una sproporzione tra i beni posseduti dall’indagato e i redditi dichiarati. L’esercizio dell’attività imprenditoriale consiste nella realizzazione e nella successiva vendita di parchi eolici, con ricavi milionari, considerato che ogni megawatt prodotto è venduto a circa due milioni di euro. Inoltre lo stesso imprenditore era stato arrestato nel novembre 2009 per indebita percezione di contributi pubblici, al termine di una complessa indagine che aveva portato alla luce un articolato sistema di truffa ai danni dello Stato finalizzato all’indebita percezione di contributi pubblici per la realizzazione di parchi eolici.
Un particolare, che può risultare curioso, consiste nel fatto che l’imprenditore siciliano non risulta intestatario nemmeno di una pala eolica, essendo la sua funzione quella di sviluppatore di campi eolici, limitandosi cioè ad acquisire i terreni e a procurarsi le licenze presso le amministrazioni locali, per poi vendere «chiavi in mano» il parco eolico.
Il sistema di business, messo così in piedi, prevedeva tre fasi, al fine di garantire maggiori margini di profitto e consentire ad un elevato numero di società di partecipare all’impresa. Nella prima fase era prevista l’individuazione dei siti, l’accaparramento dei fondi pubblici, le autorizzazioni e le pratiche burocratiche, con questo step venivano accontentati gli esponenti politici attraverso le elargizioni necessarie per far andare a buon fine le pratiche legali, circostanze emerse nella già citata inchiesta “Eolo”. Poi, con la seconda fase, si arricchivano le imprese locali, cui venivano appaltati il movimento terra, la costruzione dell’impianto e tutte le attività correlate. Alla fine, una volta completato, il parco veniva venduto alle grandi società del Nord, provenienti dalla Germania, dalla Danimarca, dall’Inghilterra, ma anche dall’Italia Settentrionale determinando un affare estremamente vantaggioso.