C’erano una volta i voti dei mafiosi
Ma erano più sicuri e numerosi quelli dei pazienti

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Ricordate quel cartello (riportato da Antonio Di Stefano nel suo famoso “Stupidario”) che un medico della mutua fece piazzare nel suo ambulatorio subito dopo le elezioni? Recitava pressappoco così: “Visto che non avete votato il candidato che vi avevo segnalato, in questo ambulatorio, a partire da oggi, non si faranno più certificati medici falsi”. Durante la prima repubblica, un medico con circa tremila assistiti, scrivendo ricette a raffica (non tutte destinate ai suoi pazienti, ma anche ad appannaggio di amici e parenti senza assistenza mutualistica), diventava un importante punto di riferimento per il politico di turno che, una volta eletto, doveva riservargli qualche posto fisso negli enti pubblici e un numero consistente di cortesie burocratiche.

Ovviamente, non potevano essere soddisfatte le esigenze di tutti gli assistiti, ma, attraverso il passaparola arrivava alle orecchie della maggior parte dei pazienti la notizia che i posti di lavoro il medico li procurava davvero e, pertanto, si sperava nella tornata elettorale successiva. A qualche paziente deluso e troppo suscettibile si tappava la bocca facendogli ottenere un prestito bancario o, ancora meglio, qualche bella pensione di invalidità con certificazioni rigorosamente fasulle. All’assistito deluso e irriducibile ci pensava l’infermiere con minacce non troppo velate: “Ma le conviene mettersi contro il dottore? E se poi le cura un malanno per un altro? Pensi alla salute!”. Ai tempi della Democrazia Cristiana, dopo il medico, il procacciatore di voti per eccellenza era il parroco che la domenica, tra un’omelia e una predica, si lasciava scappare convincenti indicazioni elettorali.

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