“Sono andato a sbattere contro la mafia. Ho sbagliato a frequentare certe persone”. Ad affermarlo in un’intervista al Corriere della Sera e’ l’ex presidente della Regione siciliana, Toto’ Cuffaro, che sta scontando in carcere a Rebibbia una condanna a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato alla mafia. L’ex Governatore nel frontespizio del suo secondo libro, pronto per essere stampato, rivolge un pensiero a Marco Pannella “strenuo lottatore per i diritti dei detenuti”.
“Da presidente della Regione – dice – di carcere mi sono occupato, forse meno di quanto avrei dovuto. Da qui pero’ c’e’ un’altra prospettiva. E da qui dico che di certe leggi che ho votato, come senatore, un po’ mi vergogno: perche’ in nome della sicurezza abbiamo varato norme troppo restrittive, e peggiorative della situazione di tutti i detenuti, non solo quelli considerati piu’ pericolosi. E questo non e’ giusto. Perche’, come ho scritto nel libro, il carcere non e’ solo luogo di corpi, ma di anime; di uomini con le loro storie e le loro speranze. Delinquenti, d’accordo, che pero’ hanno diritto ad avere una nuova possibilita’. Ecco perche’ l’indulto chiesto dal presidente Napolitano sarebbe auspicabile, vista la situazione attuale di sovraffollamento. E non parlo per me, che in ogni caso non ne potrei usufruire; io ormai devo scontare tutta la pena qui dentro, e lo faro'”.
A dicembre il detenuto Cuffaro, primo e finora unico parlamentare finito in cella per fatti di mafia, ha sperato di poter uscire grazie alla concessione dell’affidamento in prova ai servizi sociali. Ma i giudici di sorveglianza hanno detto no, perche’ potrebbe collaborare utilmente con la magistratura e non l’ha fatto. “Io non ho ancora capito – commenta – che cosa potrei dire, visto che sono solo l’anello di una catena di condannati. Mi ero illuso. Vorra’ dire che avro’ il tempo di laurearmi in Giurisprudenza e di scrivere un terzo libro. Ma non mi lamento”.
“Ho scelto la strada del rispetto delle sentenze – spiega -, e proseguo su quella, tanto piu’ adesso che s’e’ dimostrato che non aiuta sul piano concreto. Vuol dire che non era una scelta ipocrita o opportunista, ma sincera e convinta. Io lo sapevo da prima, ora puo’ capirlo chiunque. Mi rendo conto che per i giudici non era facile mettermi fuori, la mia vicenda e’ difficile da dipanare. Confidavo che fosse possibile, e magari adesso faro’ ricorso: non per me, che probabilmente finiro’ di scontare la pena prima dell’ultimo verdetto, ma per altri ai quali sarei lieto di offrire una nuova possibilita’”.
“Io – aggiunge – mi faccio carico delle mie responsabilita’; non solo penali, ma complessive. Ho fatto parte di un sistema istituzionale con incarichi importanti: alla Regione, in Senato e al Parlamento europeo, assumendo oneri e onori; lo stesso sistema che poi mi ha messo sotto accusa, trovando gli elementi per condannarmi. Posso pensare che ha sbagliato, ma non posso contestarlo. Avessi ritenuto che il sistema fosse squilibrato o ingiusto, avrei dovuto combatterlo prima, non adesso che sono chiamato a pagare certe conseguenze. Non e’ che siccome la magistratura mi ha messo alla sbarra, ora posso sputarci sopra. Non sarei credibile, ne’ sarebbe giusto”.
Poi un commento nei confronti del leader di Forza Italia: “Io nei confronti di Berlusconi – dice – continuo a nutrire l’affetto di sempre ma credo che avrebbe dovuto comportarsi diversamente; doveva lasciare la carica senza aspettare che il Senato dichiarasse la decadenza, e adesso dovrebbe scontare la pena in carcere, senza chiedere l’affidamento in prova ne’ altro. Per rispetto della sentenza, e perche’ anche sentendosi perseguitato sarebbe la migliore risposta: volete mandarmi in galera? Ci vado. Ma capisco che il carcere e’ pesante”. “La sua immagine – aggiunge – ne guadagnerebbe, e sarebbe la reazione piu’ efficace a chi ha voluto condannarlo”.
E alla domanda se crede alla colpevolezza di Berlusconi, risponde: “Penso che un’attenzione particolare della magistratura nei suoi confronti non si possa negare… Comunque ormai c’e’ una sentenza definitiva”. “Io – dice – ho commesso degli errori, anche se non tutti quelli per cui sono stato condannato. Sono andato a sbattere contro la mafia anche se ritengo di aver fatto piu’ di qualcosa contro la mafia… Ma non mi sento una vittima, sebbene pure con me ci sia stata un’attivita’ investigativa e giudiziaria non proprio normale. Ho sbagliato a coltivare certe frequentazioni, a fidarmi di certe persone. Ho sbagliato, oggi sarei molto piu’ attento e guardingo. Ma se c’e’ una cosa di cui non sono pentito e’ il rapporto continuo e diretto con i cittadini e gli elettori”.
E i rapporti con la mafia? “Lo ripeto, io non ho avuto rapporti con Cosa nostra, ci sono andato a sbattere, e in Sicilia puo’ capitare. Io non volevo certo aiutare la mafia, come non credo che lo volesse il mio amico Mannino, gia’ assolto una volta dopo tanto carcere preventivo e oggi sotto processo per la trattativa. Ricordo che mi commissiono’ manifesti in cui incitava a contrastare i boss ‘costi quel che costi’, c’era scritto”. Pure lui, Cuffaro, tappezzo’ la Sicilia con lo slogan “La mafia fa schifo”, ma non si rivelo’ una grande idea. Un altro errore? Cuffaro sorride: “Comunque non e’ facile dire quella frase quando la mafia e’ ancora li'”. Anche in carcere, l’ex politico gia’ militante della Democrazia cristiana ha una certa inclinazione a rivendicare la propria storia politica: “Il panorama di oggi mi pare disastroso. Si puo’ costruire rottamando? Meglio restaurare”. E puntualizza: “Nei rapporti mafia-politica bisogna tagliare, non restaurare. Il restauro va fatto per le cose da salvare, non per il marcio… Comunque di mafia, magari, scrivero’ quando saro’ uscito di qui”.