Il siciliano e la parola "tascio"
Identikit di uno stile di vita

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Nella gerarchia estetica dei siciliani il “tascio” occupa l’ultimo gradino. “Tascio” è un’espressione di derivazione inglese, la traduzione siciliana o, se vogliamo, l’italianizzazione di trash, spazzatura. A coniarla non a caso sono stati i palermitani, da sempre attratti, nel loro singolare snobismo, dagli anglicismi, tanto che diversi nomi di persona, soprattutto di donne, sono da loro adattati alla moda esterofila: quante le Mary, le Giusy, le Dany nel capoluogo dell’Isola! Per non parlare delle Rosy, omaggio alla Santa patrona, Rosalia, che di sicuro non gradisce la variante del suo nome ispirata dal made in England. “Tascio” si è poi diffuso in quasi tutta la Sicilia.

“Tascio” o “tasciu”? Prevale la versione italianizzata, quindi con la o e non la u finale, perché i palermitani –a cui, come si è detto, spetta il copyright del lessico-, nella maggior parte, amano parlare la lingua toscana per darsi più tono, intercalandovi idiomi dialettali e, soprattutto, rimarcando l’accento siculo e strascicando le parole.

Ma cos’è il “Tascio”? L’esatto equivalente del trash, cioè del brutto e del cattivo gusto? Non propriamente: è il trash in salsa sicula, l’orripilante specifico dei siciliani. D’altra parte, a ben riflettere, non potrebbe essere diversamente: il siciliano è geloso della sua esclusività, orgoglioso di essere diverso, e perciò il brutto siculo gode di una rivendicata autonomia.

Sicché “tascia” è l’abitudine, così diffusa in tanti siciliani, di alzare il volume della radio o dello stereo, specie se in macchina, ancor più se questa è decappottata, a un livello di decibel tale da far stordire il prossimo, meglio ancora se la musica che vi fuoriesce sono canzoni della peggiore tradizione napoletana o motivi stucchevoli e vomitevoli accompagnati da dialoghi della più volgare comicità sicula basata quasi sempre sui doppi sensi a sfondo erotico di spiccata banalità.

“Tascio” è il look vistoso dai colori sgargianti, tanto abbaglianti quanto sgradevoli alla vista, che ricordano quelli delle stampe e dei disegni, chiusi in orride cornici, dove il mare è così azzurro da essere irreale e il sole così giallo da accecare, stampe e disegni che tappezzano le pareti delle abitazioni dei siciliani “tasci”.

“Tasci” sono certi oggetti da mercatini rionali che, in ossequio a un folclore falso e convenzionale, vorrebbero costituire esemplari della sicilianità: il ciondolino con le corna rosse, che si spaccia per amuleto, il pupazzetto con baffi e lupara, che raffigura il mafioso doc (quasi si fosse orgogliosi di esso, lo si trova pure in boutique per turisti).

A proposito di mafiosi, questi, anche quando sfuggono alle immagini da cartolina, sono pur sempre “tasci”: i loro volti dallo sguardo truce di cowboy rincoglioniti, i modi affettati, la parlata “duci”, i rolex ai polsi a ostentare ricchezza li identificano nel loro squallore, anche estetico.

“Tasce” sono diventate tantissime città siciliane, non solo per certe trovate architettoniche che, per gonfiare le tasche degli amministratori (in quali progetti sono stati sprecati i fondi comunitari…), hanno rovinato i centri storici con edifici che costituiscono autentici pugni negli occhi in piazze abbellite da palazzi e chiese di un antico che mai tramonta, ma anche per l’immondizia che si accumula ovunque, persino dinanzi a opere monumentali di elevato interesse storico-artistico.

Il “tascio” si addice più ai poveri o ai ricchi? Senza volerne fare una questione di classe o di ceto sociale, si può rispondere con sufficiente sicurezza che al “tascio” sia più votato chi può vantare un buon gruzzoletto in banca che chi affoga nella miseria. Il “tascio”, infatti, ha in sé una magniloquenza, un’esagerazione del becero che la sovrabbondanza di denari può meglio garantire. La misera baracca di un poveraccio con i panni stesi sui davanzali delle finestre, per quanto brutta, non potrà mai essere“tascia”quanto la villetta del milionario che l’architetto strapagato gli ha progettato in omaggio ai canoni dell’antiestetica, assecondando in pieno i suoi desideri. Eh sì, è proprio vero: tutto si può comprare –titoli nobiliari, onorificenze, lauree, benemerenze varie-, tutto tranne il buon gusto.

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6 Commenti

  1. credo che l’articolo metta insieme la mera opinione dello scrivente. Considerata la totale soggettività nel giudicare tascio qualcuno piuttosto che un altro e che tutti ci troviamo in mezzo, sotto qualcuno che considera noi dei tasci e sopra qualcuno che noi consideriamo tascio, direi che anche l’autore rischia di esserlo, per qualcuno. A mio parere l’etimologia corretta è quella proposta da Sergio, la nostra lingua ha ben poche origini anglosassoni.

    A mio parere il tascio è l’inadeguato, colui il quale inserito in un contesto di qualsiasi genere risulta non idoneo.

    Pensate al Gattopardo e al frac di Don Calogero, stereotipo della borghesia arricchita ma priva della classe della nobiltà, inadeguato e oggetto di sfottò da parte dei nobili invitati al pranzo.

  2. Tasio per il palermitano sempre snob non e’ affAtto il povero che nella sua obbligata sobrietà e’ “elegante” composto, dignitoso. Tascio e’ sinonimo di volgarità esibita e quindi bisogna avere soldii. Poi se uno senza soldi fa finta di averli e’ il re dei tasci!

  3. L’etimologia di “tascio” sostenuta dall’autore quando afferma «“Tascio” è un’espressione di derivazione inglese, la traduzione siciliana o, se vogliamo, l’italianizzazione di trash, spazzatura.» è assai poco convincente. Se l’autore citasse le fonti farebbe cosa opportuna.

    Intanto, propendo per una origine catalana del termine: da “bastaixos” (pron.: bastascios) con caduta della prima parte “bas”. I “bastaixos” sono gli scaricatori di porto, i facchini. Insomma, “tasciu” e “vastasu” sarebbero sinonimi sia nel significato originario (“facchino”) sia nel derivato significato metaforico. Il termine “vastaso” nel vocabolario Treccani viene così definito:

    —-

    Vastaṡo s. m. [voce sicil. (vastasu o vastasi), dal lat. mediev. vastasius o bastasius (v. bastagio)]. – Facchino. In senso fig. e con valore spreg., uomo molto rozzo e trascurato nel vestire e nei modi; screanzato, villano.

    —-

    Cioè, praticamente, “tascio”…

  4. Io trovo invece la descrizione di Antonino Cangemi perfetta: il “tascio” il gruzzoletto ce l’ha, piccolo o grosso, e lo esibisce: ma gli manca lo stile, che non si compra. E quindi polo con il collo alzato alla Robespierre per mostrare la griffe, orologi vistosi, pesanti catene d’oro (con rischio di “calarsene” a testa in giù al primo bagno), in macchina stereo a tutto volume e finestrini aperti per proclamarne la potenza eccetera. Per i palermitani di basso “censo” i concittadini hanno coniato diversi termini; “cianè” (dal diminuitivio di Luciano, Lucianè) “totuccino”, “scatò”.

    Un caro saluto a tutti.

  5. L’articolo appariva abbastanza descrittivo e ragionevole, ma nell’identificazione di censo del “tascio” hai interpretato male il fenomeno. Il tascio appartiene storicamente e ideologicamente alle fasce più povere ed ignoranti della Sicilia. I tasci sono riscontrabili in precise zone e quartieri, tanto che l’appellativo di tascio viene solitamente attribuito da “forestieri” mentre per loro quella è moda in piena regola. Certo il tascio arricchito ha un suo maggiore impatto perché dispone di più mezzi per esprimere il suo pessimo senso estetico. Il brutalismo architettonico in Sicilia infatti nasce con la democrazia post’45, quando i poveri ed ignoranti hanno avuto disgraziatamente il potere di rovinare l’isola. Lo splendore di cui tu parli appartiene a un gusto aristocratico che i tasci hanno sempre considerato come qualcosa di allogeno al loro sentire e per questo lo maltrattano, lo ignorano o lo distruggono. Cordiali saluti

    Andrea Daravini Costanzo

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