Solo chi se ne sente di corredi sapi che cosa è “a vesta dei sette giorni”, cose antiche che io so a motivo della mia anzianitudine. E ora ve lo racconto. Ma intanto dovete sapere che era una vesta che si metteva dopo sette giorni da una certa data ed è diventato pure un modo per dire che una situazione non cambia per tot giornate. Come infatti il tempo di domani sarà come il tempo di oggi e ci sono buone speranze che sarà così anche nei giorni successivi, forse per tutto il resto della simanata. Matinate di sole, poi magari qualche nuvola di doppopranzo e di sera di nuovo sereno. Temperature comprese tra 17 e 20 gradi, vento poco da Levante e mari poco mossi. E questo è quanto.
La “vesta dei sette giorni” era una elegante vestaglia che era parte importante a partire dai corredi “a 24” (quelli “di figura”). Il suo uso era previsto e limitato di fatto a una sola giornata.
Ora dovete sapere che ai tempi i me nannu non è conto che i sposini partivano per il viaggio di nozze come ora che se ne vanno alle Ascelles o si fanno la crociera infino a Onolulu nei Guai? Già a tempi di mio patre, assai assai si potevano prendere la littorina per stare tre giorni a Taormina. Ma tanno me patri aveva la sacchetta che ci cantava, ma la cosa non era tanto comune.
Nella maggior parte dei casi, dopo il trattenimento, i sposini si arritiravano nella loro casa. E spirevanu. Non ne sapeva più niente nessuno per sette giorni. Naturalmente agli amici dello sposo ci passava la giornata a mettersi sotto il finestrone degli sposi e ad abbanniare il loro amico attipo “Che fa ti portu una ruzzina di ova sbattuti cu marsala?” e babbii del genere. Non meno feroci le amiche della sposa in fila per comprare il pane che taliavano il balcone, si parlavano nelle recchie e risate, ma risate….
L’unica “navetta” della nuova famiglia era la suocera (di lui) che aveva l’incarrico di fare la spesa e di cucinare i pasti. Tutta roba buona: primizie, pesce fresco, carne di primo taglio. Niente pezzame, o patate a spezzatino. Nel rispetto del principio che “a minchia un voli pinseri”, agli sposi veniva dato un tempo di sette giorni per assolvere in modo statisticamente affidabile al proprio dovere biologico. Senza problemi o distrazioni.
Trascorsi i fatidici sette giorni, la neo signora indossava la elegante “vesta dei sette giorni” e si affacciava al balcone pure se era il 15 agosto. L’affaccio era dedicato a tutto il vicinanzo. Lei si appresentava bella sistemata, pettinata, con la faccia fresca, sorridente e… soddisfatta. Il significato era chiaro e rassicurante, come a dire: “Tutto apposto”. E non sarebbe stato lo stesso se la sposina si afficciava, mentiamo, con la pigiama e le tappine. Nossignore: ci voleva la vesta dei sette giorni, le babbusce di raso e una bella pettinatura ma senza trucco che quelle sono cose delle buttane.
E se andava male? Se lui non risultava all’altezza della situazione? Se lei non aveva capito le istruzioni di sua mamma? Se, giusto giusto a lui ci affacciava u nsituni nel posto sbagliato proprio in quei giorni? E, a proposito di “quei giorni”, se non avevano fatto i conti giusti e sette giorni passavano a cambiare assorbenti? Ebbene, non lo avreste saputo mai perché la regola non è essere ma apparire. L’importante è fare buon viso, mettere la vesta dei sette giorni, affacciarsi al balcone e replicare lo spettacolo. Noi siamo fatti così. Tante belle cose. Palermitane.