Sicilia che non spende e resta a guardare.Tutta colpa del click day?

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Alcuni giorni fa e’ stato riproposto anche su questo giornale l’allarme lanciato dalla Confcommercio sul fallimento del click day che avrebbe dovuto consentire l’accesso semplificato  delle piccole imprese siciliane ai finanziamenti europei. Si tratta di un altro dei molti segnali che ci inducono a temere che anche questo ciclo di programmazione delle risorse europee destinate allo sviluppo dei territori più arretrati dell”Unione sia  destinato a fare i conti con gravissime difficoltà. Si ripresenta puntuale, insomma, all’approssimarsi della meta’ del ciclo di programmazione il problema dei ritardi italiani nella spesa dei fondi  strutturali e di investimento europei. Un pacchetto di  oltre 42 miliardi di euro in sette anni (ma in realta dieci perche’ essi saranno ancora spendibili fino al 2023) che avrebbe dovuto  avere un’ importante funzione di volano in questa  fase di faticosa ripresa della economia italiana dopo la lunghissima recessione durata quasi un decennio. La media italiana di spesa è  pari appena al 4,57% a fronte del 9, 7% della media europea per quanto  riguarda il fondo europeo di sviluppo regionale che è il più dotato dal punto di vista finanziario . Con riferimento, invece , al fondo sociale europeo le cose vanno appena un po’ meglio: il  7% contro il 12 % medio dell’Unione. Ancora una volta si dimostrano virtuose le regioni del Centro Nord, in particolare l’Emilia Romagna che si attesta al 17% dello spesa sul fesr e al 20% sul Fse.  Le sole regioni meridionali che si distaccano dalla parte bassa della classifica sono la Calabria che ha speso il 6% del fesr e la Puglia al 4%.  Anche  due programmi nazionali sono in forte ritardo: il programma per la legalità e quello di governance finalizzato al miglioramento delle prestazioni della pubblica amministrazione.  I dati siciliani sono noti e non val la pena di tornarci su, se non per ricordare che il fallimento si ripete costantemente da almeno quale che sia il colore politico delle amministrazioni regionali pro-tempore e indipendentemente dalla presenza o meno di dirigenti esterni. Perfino quando si fece arrivare un professorone da Oxford le cose rimasero sostanzialmente immutate.  Interessante è invece il confronto con gli altri paesi europei, specie con i cosiddetti new comers, i paesi che hanno aderito più di recente all’UE in genere dell’Est Europa. La Polonia per esempio può contare su 80 miliardi di euro che diventano 100 se si aggiungono i fondi per l’agricoltura ed ha già certificato la spesa del 13% delle risorse disponibili. La Polonia è -insieme all’Irlanda-il paese che nell’Unione ha lanciato -le zone economiche speciali importandole dalla Cina. Ne ha ben 14 attive sin dal 1994 che costituiscono le aree di attrazione di investimenti soprattutto esteri. I rilevanti vantaggi fiscali per le imprese che vi si collocano, sommati a politiche fiscali generali meno pesanti di quelle nostrane, presentano un’entità di sostegno pubblico che varia a seconda delle zone dal 15% al 50%. Ricordiamo che  l’esperienza delle Zes sta partendo anche nel nostro paese, anche se nel caso italiano si sta puntando sulle aree retroportuali nella prospettiva di un rilancio delle attività legate alla logistica su cui l’Italia ha interesse a puntare per la sua centralità nel Mediterraneo. La Sicilia, tanto per cambiare, appare in forte ritardo nell’elaborazione progettuale e nella definizione dei piani territoriali ed industriali delle aree che vi saranno ricomprese.  La nostra convinzione è che il nodo da sciogliere per realizzare un salto di qualità nell’utilizzo dei fondi strutturali e di investimento europei è la qualità delle amministrazioni che li gestiscono. I tentativi fin qui realizzati non hanno sortito fli effetti sperati. Valga per  tutti gli altri il  caso dell’Agenzia della coesione che Fabrizio Barca volle fortemente da ministro del governo Monti. L’idea era di dar vita ad uno strumento agile, liberato dai vincoli della struttura ministeriale, che fosse in grado di monitorare ed aiutare le autorità locali di gestione nella realizzazione degli obiettivi assegnati. Ad oggi non pare che il.ruolo dell’Agenzia sia tale da avere implementato in modo significativo la qualità dell’azione delle autorità di gestione. Fin quando non si metterà mano alla riforma del modo di  lavorare  della pubblica amministrazione, rendendola capace di dare efficienza ed efficacia agli investimenti, il caso italiano continuerà ad essere definibile solo in termini di occasioni perdute.  E in Sicilia continueremo a piangere sul latte versato.

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