
(Franco Garufi) L’equivoco irrisolto della campagna elettorale per l’elezione del presidente della Regione ed il rinnovo dell’ARS è la sovrapposizione tra la dimensione regionale e l’intenzione evidente di molti di usare il risultato che sortirà dal voto del prossimo 5 novembre per avviare il regolamento dei conti in vista delle elezioni politiche generali. Sovrapposizione in parte inevitabile per la vicinanza dei due appuntamenti e solo in parte coperta dalla foglia di fico della “Sicilia laboratorio politico”.
Solo alcuni osservatori, in particolare Emanuele Macaluso con la sua dura polemica contro l’assenza dei partiti nell’isola (ma si tratta in verità di un fenomeno nazionale), si sono accorti che ciò può determinare un vuoto di senso rispetto al significato specifico di un turno elettorale che deve innanzitutto valutare l’operato del presidente uscente e della coalizione che lo ha (più o meno) sostenuto.
Manca, anche per i toni violenti ed apodittici assunti dalla polemica politica, una valutazione realistica di quanto è avvenuto in Sicilia nel corso di questi cinque anni capace di mettere sui due piatti della bilancio le delusioni e gli errori ma anche i risultati di un’esperienza dalle molte e contraddittorie facce.
Conviene ricordare che l’allora deputato europeo ed ex sindaco di Gela non era il candidato del Pd, ma ai democratici fu imposto da un’operazione che ebbe diversi e variegati protagonisti, com’è possibile ricostruire anche dalla semplice composizione del cosiddetto “listino”. Le modalità dell’operazione politica, l’impianto della campagna elettorale e la configurazione della composita coalizione che era stata costruita attorno a lui non apparivano convincenti a molti che militavano nel fronte progressista (tra cui chi scrive) ma il clima che venne creato dagli sponsor della candidatura impedì che dubbi e preoccupazioni trovassero ascolto: non è consolante che quanto è successo in questa legislatura confermi quelle perplessità ma è un dato inoppugnabile della realtà. Tuttavia è inaccettabile la campagna di demonizzazione del quinquennio crocettiano che trova concordo destra moderata e sovranista e la cosiddetta “sinistra sinistra”.Mettere sullo stesso piano Crocetta e Cuffaro è francamente una corbelleria sul piano storico e fattuale oltre che un esercizio di “tafazzismo”.
Urge invece una riflessione seria per evitare che un’occasione in gran parte perduta, ma che qualche segno positivo lo lascia, si trasformi nella Caporetto di quanti pensano che è possibile cambiare la Sicilia governandola. La causa prima del crescente dissenso attorno all’esperienza crocettiana è aver avviato riforme, anche significative, senza essere in grado di portarle a compimento. Il caso dell’abolizione delle province annunciata in televisione è esemplare di un pressapochismo finalizzato a cavalcare l’onda e le emozioni del momento in assenza di una chiara visione dell’obiettivo: una riforma nata male e miseramente defunta col voto dell’Assemblea che lo scorso luglio ha ripristinato l’elezione diretta.
Più serio e complesso il caso della formazione professionale, vero fomite del malaffare siciliano in cui le lavoratrici ed i lavoratori, in massima parte persone per bene, sono stati utilizzati come merce di scambio clientelare. Giusto quindi smantellare il vecchio sistema, ma assolutamente inconcepibile non aver costruito in tutta la prima fase lo scheletro del nuovo e – soprattutto -adeguati meccanismi di tutela del lavoro.
Crocetta è stato il protagonista principale della tragicomica vicenda di una sinistra che si proclama riformista senza aver cultura delle riforme, che ha visto progressivamente indebolite le sue radici di massa, che fa l’occhiolino alle pulsioni populiste utilizzando come improbabile coperta di Linus una versione retorica e un pò folkloristica dell’antimafia. L’unico intervento che ha prodotto risultati reali, l’avvio del risanamento del disastrato bilancio regionale, è stato reso possibile dai vincoli posti dal governo nazionale e concretamente governato da un assessore “straniero “ che il presidente ha dovuto sopportare.
Tuttavia si è trattato di un’azione incisiva, come ammette quella stessa Corte dei Conti che ha finalmente imparato ad essere drasticamente severa come in passato non era stata. Non a caso è attorno al risanamento del bilancio ed alla pretesa violazione dell’Autonomia speciale che si sono agglutinati gli interessi di quanti avevano detenuto il potere in passato: essi hanno trovato il loro teorico in quel Gaetano Armao che è oggi il numero due di una coalizione che sembra la fotografia della Sicilia di vent’anni fa.
Ricandidare Crocetta sarebbe stato un errore politico, ma credo sia stato giusto evitare una damnatio memoriae che renderebbe incomprensibile cinque anni di governo siciliano con le sue generosità, le sue ingenuità e i suoi errori imperdonabili. Se non si parte da quest’analisi, se non si ha il coraggio di dire le cose come stanno si finirà per rendere un abisso la distanza tra la politica ed i cittadini condannando l’isola al ritorno di “lor signori” oppure (non riesco a scegliere cosa considerare peggiore) a diventare terreno di sperimentazione del dilettantismo fanatizzante dei Cinquestelle.
FRANCO GARUFI