“Di tutti i legumi la fava è regina, cotta la sera e scaldata la mattina”

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Così recitava un antico detto popolare. Nella tradizione gastronomica del mese di Maggio e Giugno è immancabile sulle tavole o nelle prime escursioni primaverili.

La Faba vulgaris è una pianta della famiglia delle leguminose, coltivata in Europa fin dall’antichità sia a fini alimentari umani che animali, e la sua storia è un intreccio tra riti e pregiudizi. Aristofane lo riteneva il cibo preferito da Ercole, noto sia per le fatiche, ma anche per essere un grande amatore.
Secondo Pitagora e i suoi seguaci invece le fave erano la porta dell’Ade, in quanto la macchia nera dei loro fiori bianchi rappresentava la lettera “Theta”, iniziale della parola greca Thanatos (morte). Inoltre questa pianta, dallo stele cavo privo di nodi, identificava una via d’uscita verso la luce per le anime dei sepolti.
In un’epigrafe del VI sec. a.C. trovata in un santuario di Rodi, si consigliava ai fedeli, per mantenersi in uno stato di purezza totale, di astenersi “dagli afrodisiaci e dalle fave…”.
Diverse erano poi le opinioni avanzate sulla diffidenza verso le fave: Platone asseriva che ai pitagorici veniva proibito consumare questi ortaggi perché provocavano un forte gonfiore (causato dalla rapida fermentazione nella digestione dei legumi), nocivo alla tranquillità spirituale di chi cercava la verità. Plinio invece esponeva così la sua tesi: “… si ritiene che la fava intorpidisca i sensi e provochi visioni”. Altri autori Greci e Romani mettevano la propria attenzione esclusivamente sui sogni agitati fatti dopo una cena a base di fave, che interferivano con la regolare attività onirica ricollegata a presagi e comunicazioni con le divinità.
Ma se in alcuni testi le fave rappresentavano simboli negativi, nell’immaginario comune designavano i genitali femminili (baccelli aperti), e i testicoli maschili (fave). Alle feste romane dedicate alla dea Flora, protettrice della natura in germoglio, come auspicio e prosperità veniva gettata sulla folla una cascata di fave.
Recenti studi scientifici hanno identificato nelle fave la presenza di principi attivi che oltre a favorire lo sviluppo della dopamina, avrebbero il potere di risvegliare il desiderio e l’attività sessuale, facilitando la vasodilatazione e ritardando l’eiaculazione.

La fava fresca è il legume più leggero e digeribile dopo il fagiolino. Quando si acquistano le fave bisogna accertarsi che il baccello sia turgido di colore brillante e senza macchie e screpolature. Possono essere consumate crude o cotte, si possono essiccare o congelare. Per verificarne la freschezza basta spezzare in due un baccello: il suono deve essere come uno schiocco. Sgusciatele solo al momento dell’utilizzo per evitare che perdano la loro tenerezza.
Prima di metterle nel freezer conviene sbollentarle per tre minuti circa e lasciarle raffreddare.

Sono legumi piuttosto salutari, ma in alcuni casi hanno una particolare controindicazione, possono causare in persone a cui manca un certo tipo di enzima, una malattia rara chiamata “favismo” che è causa di gravi anemie.

Nel Medioevo e nel Rinascimento sembra che diventarono cibo prettamente contadino, quasi mai presente alla mensa dei signori, cultori e consumatori di carne d’ogni specie. In seguito però alla scoperta delle Americhe, grazie alla conoscenza di nuove ed esotiche varietà di fagioli, l’interesse per i legumi ritrovò un certo favore.
Ma fu con la Rivoluzione Francese che questi cibi salirono alla ribalta della gastronomia per la sovvertita graduatoria della cucina aristocratica.
Simbolicamente i legumi rappresentano la continenza e la mistificazione del corpo. Ai piselli si collega per le loro esigue dimensioni e radici il concetto della fragilità delle cose umane. Essi rappresentano per la piccolezza sia l’umiltà che il giusto aiutato dalla grazia.

 

 Ricetta Fave di Venere

Ingredienti:

200 gr. fave fresche sgranate

100 gr guanciale maiale

50 gr olio d’oliva

1 cipolla piccola

peperoncino

sale

Preparazione:

Tritare la cipolla e farla soffriggere nell’olio.
Unire il guanciale tagliato a strisce e farlo rosolare; aggiungere le fave, sale, peperoncino, e immettere un po’ d’acqua.
Cuocere per circa 40 minuti, poi servire la pietanza ben calda.

 

Mangiafagioli - Annibale Caracci (1583/84)

Compaiono in scene di genere di tono umile e nelle nature morte italiane e fiamminghe dal XVI al XIX sec.

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