“Pittore da sempre appartato, isolato, quasi stilita nel mezzo delle babeli d’ogni epoca, degli accesi conflitti degli ismi più imperiosi o più opportunistici, Pecoraino non ha fatto che praticare, sperimentare, ricercare il linguaggio della pittura. Una ricerca che, in ogni arte, richiede impegno incessante, totale; una ricerca che può portare a vere, nuove scoperte, a risultati sempre più alti. Risultati in una curva ascendente che s’interrompe con la vita dell’artista”. Così Vincenzo Consolo, nel suo scritto introduttivo alla Mostra Antologica della Civica Galleria di Arte Moderna di Palermo, descrive Aldo Pecoraino, nel lontano 1989.
Aldo Pecoraino ci lascia quasi novantenne dopo avere dipinto con ostinata coerenza i suoi alberi rossi, le barche in secca, i paesaggi, i cieli densi di nuvole bianche e i boschi anneriti dal fuoco, quegli alberi in fiamme che ricordano ed esorcizzano le esperienze vissute degli incendi della campagna di Gibilmanna, dove amava trascorrere l’estate nella sua casa di pietra che per un miracolo non rimase anch’essa distrutta dalle fiamme. Un artista solitario che raramente si è concesso al pubblico con mostre o esposizioni. Sciascia lo definì “un signore che a Palermo vive una sua vita trasognata e crucciata. Dico, antiquatamente, che è un signore perché davvero lo è: nel portamento, nel comportamento, nella discrezione, nel pudore“. Grandi estimatori di Pecoraino, divenuti poi collezionisti, gli affettuosi amici Enzo ed Elvira Sellerio che spesso utilizzarono foto dei suoi dipinti per le copertine dei libri, soprattutto alcune tra le opere più significative dell’artista: nature selvagge in forma di alberi.
Gli alberi di Pecoraino simbolizzano presenze umane: svettano aitanti e fieri tra il passaggio delle stagioni e degli eventi che trasformano alchemicamente la terra, come il fuoco, lo stesso fuoco che ha lambito le fronde della magica quercia del Piano delle Fate madonita, ritratta tante volte dall’artista e divenuta dopo quell’esperienza, quasi immortale . Pecoraino riusciva a interiorizzare i paesaggi con la sua anima siciliana, terra d’origine dai colori forti, passionali, incendiati come le sue tele. Carlo Carrà – che di Pecoraino è stato uno dei maestri – nel libro “Segreto professionale”, a proposito del difficile mestiere del pittore “contemporaneo”, scrisse di lui: “l’artista è obbligato a vivere “diverse vite” nel contesto dei mutamenti culturali che scorrono veloci. Anche Aldo Pecoraino è passato per questi trascorsi, attenendosi pur tuttavia allo stile e alla immaginazione che era stata la prima rivelazione del suo tracciato espressivo, la sua poetica nel profondo, tra le pietraie e il bosco, le piante e i declivi, le fronde sorprendenti e i nudi rami. Dalle brume terrose ai verdi, ai rossi stupefacenti, come in un cerchio continuo di nascite e rinascite”.
Nacque il 10 dicembre del 1927 dal padre Filippo della famiglia degli industriali dei Mulini e da Emanuela Severino Franceschini, di nobile famiglia toscana e dotata di uno spiccato gusto estetico. Durante gli anni formativi della giovinezza visse in un clima intellettualmente vivace ma la sua gioventù è segnata dal crack finanziario del padre, che portò la famiglia numerosa in condizioni economiche precarie. Inizia giovanissimo a disegnare e dipingere e già nel 1951, a soli 23 anni, partecipa alla Mostra Internazionale che si svolge a Palazzo Venezia vincendo il primo premio.
Nel 1953 il Maestro Carlo Carrà espresse parole di elogio per l’opera La Cattedrale e nello stesso anno Aldo Pecoraino si aggiudicò il primo premio della Mostra Collettiva Internazionale delle Belle Arti di Brera che otterrà anche l’anno successivo. Nel 1954, a Vicenza, ottenne il Primo Premio alla Mostra Internazionale di Arti Figurative. Determinante per Pecoraino fu la scoperta della grande letteratura europea: Tolstoj, Dostoevskij, ma anche Freud e Jung, gli permisero di scoprire i collegamenti tra letteratura e arte del primo Novecento. Studiò gli epistolari e i diari di Delacroix e Van Gogh. Evidenti nel suo tratto pittorico i legami con gli artisti Fauves: Derain, Vlaminck, Soutine così come si ritrovano nei suoi dipinti elementi che riconducono ad esperienze precubiste ed espressioniste. Seguendo i corsi dei Maestri Pippo Rizzo e Michele Dixit si diplomò in pittura, all’Accademia di Belle Arti di Palermo e ne divenne in seguito, docente.
Nel dicembre del 1956 vince il primo premio per la pittura alla Seconda Mostra Regionale di Arti Plastiche e Figurative che si tenne al Teatro Massimo. Nel 1958 sposa Maria Isabella Crescimanno di Capodarso la cui bisnonna era la penultima figlia del Gattopardo. Nel 1960 partecipò alla Seconda Mostra Internazionale di Pittura e ottenne il terzo premio: sono i periodi in cui inizia un sodalizio con il fratello scultore Mario, col quale partecipò a delle collettive come quella del Festival dell’Internazionale Giovanile d’Arte, a Strasburgo, Junge Sizilianìsche Kùnstler, alla quale partecipano anche Guttuso, Greco, Messina, Migneco, Mario Pecoraino, Giacomo Baragli e Bruno Caruso, poi a Colonia, Pintores Italianos, a Caracas, Tota Pulchra, all’Albergo delle Povere, la Rassegna del sacro nell’Arte, a Palermo, oltre che un’antologica alla Galleria Civica di Arte Moderna di Palermo.
L’Artista, sempre restio ad allontanarsi dalla sua città natale, espose frequentemente alla galleria Flaccovio, alla galleria Arte al Borgo, alla galleria Ai Fiori Chiari, alla galleria La Robinia.
Ricordarlo in occasione della sua dipartita avvenuta ieri è un invito a visitare i luoghi dei suoi dipinti, a condividere una geografia dell’anima che è riuscita ad esprimere con eccellenza il gusto intellettuale più autenticamente naturalistico di un artista palermitano del novecento.