A gennaio di quest’anno il cinquantenario del terremoto della Valle del Belìce non ha destato particolari clamori. Almeno nell’editoria. Pochi i libri che hanno rievocato quella tragedia o che hanno riacceso il dibattito sulle deboli risposte allora fornite dalle istituzioni. Colma in qualche modo la lacuna un interessante saggio da poco in libreria, “Belice” di Anna Ditta, edito da Infinito.
La giovane giornalista belicina attualmente residente a Roma, con “Belice” ci offre un panorama dettagliato e articolato del sisma che colpì nel ’68 una delle zone più povere e dimenticate della Sicilia occidentale, provocando centinaia di morti e devastando o danneggiando gravemente piccoli paesi allora sconosciuti: Gibellina, Montevago, Salaparuta, Menfi, Partanna, Santa Margherita su tutti (Poggioreale, rimasta grossomodo illesa e lasciata poi perire negli anni per l’incuria e la miopia dei suoi amministratori, è un caso a parte).
Il saggio della Ditta non solo fa rivivere il dramma di quell’insolitamente freddo inverno del ’68, raccontandoci fatti ed episodi che commossero tutta l’Italia (come, ad esempio, la toccante storia della piccola Cudduredda), ma punta i riflettori anche sulle polemiche che accompagnarono e seguirono una discutibile ricostruzione.
Il libro, che si avvale dell’introduzione di Giacomo Di Girolamo, è molto documentato e ha il pregio di presentare un quadro della realtà belicina che inizia a delinearsi ancor prima del fatidico ’68: è il quadro segnato dalle iniziative civili e non violente promosse da Danilo Dolce e da Lorenzo Barbera e dai loro “Centri d’azione”, dalle loro “utopie” e dai loro progetti di partecipazione democratica. Quelle iniziative, dopo il ’68, s’intensificarono e si concentrarono sul tema di una ricostruzione architettonica dei paesi colpiti dal sisma che, oltre ad essere puntuale e completa, preservasse le radici contadine dei luoghi. Già, perché il terremoto del ’68 non solo provocò nel Belìce macerie di cemento, ma anticipò in quei contesti territoriali il tramonto della civiltà contadina, favorì i fenomeni migratori, colpì le popolazioni nell’intimità delle loro consuetudini di vita, dei loro costumi. Naturalmente, non mancarono le speculazioni, gli scandali e le stridenti contraddizioni in una ricostruzione che, oltre a essere tardiva, non tenne conto dell’humus contadino della Valle del Belìce.
Anna Ditta, da promettente cronista, in “Belice” racconta tutto con dovizia di particolari e raccoglie testimonianze preziose di protagonisti del dibattito di allora o di voci significative, come quella della scrittrice Carola Susani autrice del romanzo autobiografico “L’infanzia è un terremoto”.
Tutto ciò fa di “Belice” un libro completo, di taglio sociologico, scorrevole nella scrittura, da leggere con attenzione.













