Nel 1964 Angelo Fiore, uno dei più straordinari scrittori siciliani del secolo scorso, pubblicava, per i tipi di Vallecchi, “ Il supplente”. Il suo alter ego, Attilio Forra, docente precario in un paesino del Palermitano, svelava la sua incompiutezza e la sua nevrosi nel labirinto soffocante di un’esistenza avara di spiragli.
A distanza di più di cinquant’anni, Salvatore Mugno, poligrafo trapanese dai mille interessi, racconta con “Il prof terrone” edito da Margana le ossessioni di un docente delle superiori al suo anno di prova in un piccolo centro del Bergamasco.
Il richiamo a “Il supplente” conferma come il mestiere del docente abbia in sé – indipendentemente da chi ne scrive (i personaggi di Fiore, si sa, rispecchiavano lo scontroso mal di vivere dell’autore) – un’insoddisfazione intrinseca legata a una condizione disagiata che spesso trova naturale sfogo nella scrittura.
Il professore terrone protagonista del romanzo-diario di Mugno si dibatte tra sofferenze fisiche e psicologiche, è vittima di un egocentrismo ai limiti del patologico e della sua ipocondria. Appartiene alla categoria dei nevrotici, come l’Attilio Forra di Fiore, e la sua precarietà, allo stesso modo del personaggio di Fiore, sconfina oltre lo status di insegnante in prova abbracciando il profilo esistenziale. Il docente è arrivato da Trapani in un paesino bergamasco con le fragilità che ne segnano il carattere e che si acuiscono nel contesto di un ambiente nuovo e diverso e di una scuola fatta apposta per amplificare malesseri e frustrazioni. Ha un rapporto coniugale sempre in bilico, sacrifica le notti inseguendo la sua passione e la sua ossessione per la letteratura, per poi trovarsi svuotato e povero di energie di giorno.
La scuola, però, per il prof terrone, se da un canto moltiplica i turbamenti interiori, dall’altro si rivela un osservatorio speciale dell’umanità: dei suoi colleghi e, soprattutto, dei ragazzi che cominciano ad affacciarsi alla vita con le incertezze e le titubanze proprie dell’età adolescenziale. Quella tra l’insegnante protagonista del romanzo di Mugno e i suoi discenti è una relazione complicata, costellata di diffidenze, incomprensioni, talvolta complicità reciproci: due universi diversi, anche per estrazione geografica, che si incrociano, due mondi distanti anche nel registro verbale. E sotto quest’ultimo aspetto, è interessante il glossario del frasario studentesco bergamasco posto a corredo della narrazione.
La storia è ambientata nei primi anni ’90, all’esplosione del fenomeno leghista che nel romanzo, seppure marginalmente, trova eco.
La scrittura di Mugno riflette in qualche misura la personalità combattuta e dilaniata da tante angosce del protagonista, senza però la carica inventiva e l’originalità stupefacenti di Fiore (al cui cospetto qualsiasi scrittore, pur di vicina sensibilità e di indubbie capacità, esce ridimensionato), con spunti di misurata ironia che smorzano le lamentazioni altrimenti ingombranti e con impennate vagamente spirituali (“voglio essere risarcito per i gravi danni che questa vita mi ha arrecato! Per questo credo in Dio!”).
Per Mugno, narratore e saggista spesso esploratore di figure e vicende esistenziali poco note, un’altra prova – l’ennesima – convincente, seppure riservata, nell’attuale contesto editoriale soverchiato da esigenze di mercato, a un pubblico ristretto.