Il necrologio del padre di Matteo Messina Denaro, don Ciccio, ogni anno, puntuale sul “Sicilia”

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In un Paese che ostenta di avere tra le sue priorità il contrasto alla criminalità organizzata è difficile accettare che Matteo Messina Denaro, ritenuto il numero uno di Cosa nostra, sia ancora latitante. Da decenni. Delle due l’una: o la volontà di catturarlo, malgrado manifestata a ogni piè sospinto, in effetti non c’è, o l’apparato investigativo è inefficiente. O, infine, il latitante gode di tali e tante protezioni e tutele da mettere sotto scacco gli investigatori che si dedicano a tempo pieno alla sua cattura. L’ultima ipotesi è certamente la più vicina alla realtà.

Si tenga conto, inoltre, di un altro dato – a ben pensarci, inquietante- : puntualmente, ogni anno, all’anniversario della morte di Francesco Messina Denaro, papà di Matteo, sul più diffuso quotidiano dell’isola compare un necrologio firmato dai familiari, compreso il figliol prodigo.

Naturalmente, il necrologio riporta la sede da cui proviene: Castelvetrano. Che è il paese di don Ciccio, mafioso di razza, per anni fattore della famiglia D’Alì. Francesco Messina Denaro, detto don Ciccio, è stato, negli anni Ottanta, capo mandamento di Castelvetrano, un centro che nella scacchiera di Cosa nostra ha sempre contato. La sua amicizia, e quella del mazarese Mariano Agate, con i corleonesi servì a spostare gli equilibri di Cosa nostra a tutto vantaggio di Totò Riina. Nell’89, don Ciccio subì una condanna dal Tribunale di Trapani, e da allora si rese latitante. Lo fu sino alla morte, avvenuta il 30 novembre del ’98. Allora, i familiari si premurarono di consegnare il cadavere alle forze dell’ordine. Fu una consegna simbolica: lo fecero trovare, vestito con l’abito migliore come si addice a ogni cadavere di rispetto, all’ingresso di una sua campagna. Come a dire: eccovelo, ora che è morto (collasso cardiaco, trapasso naturale), potete favorire, ve lo concediamo.; l’avete tanto cercato, eppure era qui, a Castelvetrano, in un suo campo. Mutatis mutandis, lo stesso messaggio dei necrologi che onorano sulla stampa, anno dopo anno, la sua dipartita: io Matteo Messina Denaro, figlio degno di don Ciccio, sono qui, prendetemi se ci riuscite.

Tutto lascia pensare che Matteo Messina Denaro sia nel suo territorio, in una campagna di Castelvetrano e dintorni. Certamente gode, in quel territorio, di una capillare e solidissima rete di protezione. Castelvetrano è un centro ad alta densità mafiosa: nulla si muove senza il consenso del padrino dei padrini. Anche l’antimafia. Persino nel consiglio comunale, ora sciolto e commissariato, vi era più di un “simpatizzante” del capo. Un paese che tira a campare con un’economia agonizzante, Castelvetrano, malgrado abbia ricchezze non trascurabili: la pregiatissima nocellara del Belìce, che renderebbe ricchi agricoltori intraprendenti e liberi, il parco archeologico di Selinunte, il più vasto del mondo greco, saccheggiato da sempre, nei suoi tanti reperti, dalla mafia, fonte di più che redditizio turismo in altri contesti.

Eppure, da regno della mafia e dei Messina Denaro, Castelvetrano langue, con tassi di disoccupazione altissimi. Finché un giorno, chissà, non si troverà il number one di Cosa nostra, magari col vestito buono della festa, muto e rigido secula seculorum per cause naturali, in un suo podere. Come da onorata tradizione familiare.

 

 

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