Sono passati quaranta anni da quando il 16 marzo del 1978, Aldo Moro, mentre si stava recando alla Camera dei deputati per la presentazione del nuovo governo, fu vittima di un agguato effettuato da un commando delle Brigate rosse che, con una vera e propria azione militare, uccisero i cinque uomini della scorta e sequestrarono il presedente della Democrazia cristiana. Il sequestro si concluse dopo 55 giorni di prigionia nel covo di via Montalcini, con l’uccisione di Moro, fatto trovare all’interno di una Renault rossa, il 9 maggio a Roma in via Caetani, una via che si trova tra la sede della allora Democrazia cristiana e via delle Botteghe Oscure, la sede nazionale del Partito comunista italiano.
Oggi, tutto, per ciò che riguarda questo grave fatto, sembra essere stato chiarito. In realtà molti sono i punti oscuri che ancora permangono e che non sono stati, volutamente o no, sufficientemente approfonditi. Così dicasi per ciò che riguarda il possibile coinvolgimento della P2 e dei servizi segreti, dell’URSS e degli Stati Uniti o di Israele Ed ancora non si è sufficientemente approfondita la vicenda del falso comunicato n. 7 e la scoperta del covo di via Gradoli. O ancora il ritrovamento, nell’ottobre del 1990, in un appartamento in via Montenovoso a Milano, appartamento occupato dalle BR e già allora attentamente perquisito, di documenti relativi alla prigionia di Aldo Moro.
Per ciò che riguarda il possibile coinvolgimento degli Stati Uniti e dell’URSS, si può affermare che sia gli uni che gli altri potrebbero essere stati mandanti del sequestro. Non vi è dubbio infatti come il progetto di apertura del governo al PCI di Berlinguer, che come è noto era uno dei più convinti sostenitori dell’Eurocomunismo, fu mal visto dagli Stai Uniti che temevano un siffatto programma: se attuato, avrebbe cambiato gli equilibri di potere sia nazionali che internazionali. Ma anche dalla stessa URSS, una siffatta apertura poteva essere non gradita dato che tale evenienza avrebbe dimostrato, come è stato osservato, che un partito comunista era in grado di andare al potere in maniera democratica e di sfuggire così alla dipendenza dal PCUS di Mosca.
Sin dagli anni 70 vi era sempre stata, negli USA una forte contrarietà sia da parte della amministrazione repubblicana con Nixon e Ford sia da parte di quella democratica con Carter (presidente dal 1977 al 1981, nel periodo in cui si verifica il sequestro e l’uccisione di Moro), alla politica perseguita da Moro che mirava a fare partecipare i comunisti al governo. Un segnale ben preciso si ebbe infatti nel settembre del 1974, allorquando Moro, allora Ministro degli esteri, si recò negli Stati Uniti. In questa occasione infatti vi fu un confronto molto duro tra l’allora segretario di Stato Henry Kissinger e Moro il quale voleva convincere Kissinger che data l’ascesa elettorale del partito comunista, un modo per fermare tale ascesa era proprio quello di fare partecipare i comunisti alla responsabilità di governo e che in pratica si trattava soltanto non di una alleanza di governo vera e propria ma di un accordo provvisorio per trovare una soluzione alla crisi economica. Kissinger, in questa occasione, per nulla convinto dalle affermazioni di Moro, minacciò che se l’Italia avesse perseguito tale strategia avrebbe tagliato gli aiuti economici di cui l’Italia in quel momento aveva particolare bisogno.
Naturalmente ciò non significa affermare che l’ordine di sequestrare ed uccidere Moro sia venuto da Kissinger o da chi per lui, ma bisogna comprendere i meccanismi che stanno alla base di quasi tutti i delitti eccellenti. Non c è in altri termini nessun politico che direttamente dica ad altri di commettere un determinato delitto. Basta infatti che il potere politico lanci un messaggio quale ad esempio . “I comunisti stanno per impossessarsi del potere ; la situazione è grave”. Questo messaggio viene recepito da un livello inferiore che non ha nessun contatto con il livello superiore ma che si rende conto della preoccupazione di quest’ultimo e trasmette il messaggio ad un livello successivo che comprende cosa fare ed esegue.
Se, come si è detto, gli Stati Uniti erano fortemente contrari all’ipotesi che il partito comunista potesse andare al governo e che pertanto avrebbero fatto qualsiasi cosa per impedire tale evenienza, è semplicistico pensare che le Brigate rosse abbiano fatto tutto da sole e di loro iniziativa. Esse, come è stato osservato, gestirono un appalto e solo se si ritiene fondata questa tesi, si può comprendere ciò che avvenne durante i 55 giorni in cui Moro fu prigioniero delle Brigate Rosse. Significativa in proposito è la circostanza che la decisione di uccidere Moro viene presa proprio nel momento in cui la DC, attraverso l’allora presidente del Senato Fanfani, si apre alla trattativa.
Rafforza ancora l’ipotesi di un coinvolgimento degli Stati Uniti nel sequestro Moro, quanto dichiarato nel 2005 da Giovanni Galloni, ex vicesegretario della democrazia cristiana secondo cui Moro gli disse di essere conoscenza del fatto che sia i servizi americani che quelli israeliani, avevano degli infiltrati nelle BR e che nessun aiuto davano ai servizi italiani per l’individuazione dei covi di tale organizzazione.
Nella seduta del 22 luglio 1998, dinanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta sul terrorismo in Italia, lo stesso Galloni dichiarò come per gli americani impedire l’entrata dei comunisti al governo era una questione strategica di vita o di morte dato che se si fosse verificata una siffatta evenienza temevano di perdere le basi militari che gli Usa avevano sul territorio italiano in una posizione idonea a fare fronte ad una eventuale invasione dell’Europa da parte dei Sovietici. Dichiarò in particolare Galloni : “« Quindi, l’entrata dei comunisti in Italia nel Governo o nella maggioranza era una questione strategica, di vita o di morte, “life or death” come dissero, per gli Stati Uniti d’America, perché se fossero arrivati i comunisti al Governo in Italia sicuramente loro sarebbero stati cacciati da quelle basi e questo non lo potevano permettere a nessun costo. Qui si verificavano le divisioni tra colombe e falchi. I falchi affermavano in modo minaccioso che questo non lo avrebbero mai permesso, costi quel che costi, per cui vedevo dietro questa affermazione colpi di Stato, insurrezioni e cose del genere. » (Dichiarazioni di Giovanni Galloni, Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 39ª seduta, 22 luglio 1998.)
Emanuele Macaluso, in un articolo pubblicato il 26.09.1982 sull’Unità scrisse : “Caso Moro. Noi siamo tra coloro che non hanno mai creduto che a rapire ed uccidere il presidente della Dc siano state solo le Brigate rosse che organizzarono l’infame impresa. Abbiamo sempre pensato che gli autonomi obiettivi politici delle Br coincidessero con quelli di potenti gruppi politico-affaristici, nazionali ed internazionali che temevano una svolta politica in Italia”
Ma che Moro fosse inviso agli Stati Uniti a causa della sua politica di avvicinamento al partito comunista, emerge anche dalle dichiarazioni rese dalla moglie di Moro in occasione del primo processo al nucleo storico delle BR. La vedova di Moro dichiarò che fin dal 1974 il marito era stato oggetto da parte di esponenti politici degli USA, tra cui il segretario di Stato Henry Kissinger, di moniti e di avvertimenti sulla pericolosità di qualsiasi legame con il PCI. Riferì in particolare che nel marzo del 1976 il marito ricevette un avvertimento esplicito da parte di un personaggio americano che, avvicinatolo, lo aveva apostrofato duramente. L’episodio fu riferito dalla vedova Moro dinanzi alla Commissione di inchiesta in questi termini : “: «È una delle pochissime volte in cui mio marito mi ha riferito con precisione che cosa gli avevano detto, senza svelarmi il nome della persona. […] Adesso provo a ripeterla come la ricordo: ‘Onorevole (detto in altra lingua, naturalmente), lei deve smettere di perseguire il suo piano politico per portare tutte le forze del suo Paese a collaborare direttamente. Qui, o lei smette di fare questa cosa, o lei la pagherà cara. Veda lei come la vuole intendere’».
Un altro aspetto, forse non sufficientemente approfondito è quello relativo ad una macchina tipografica che collegherebbe il delitto Moro a Gladio, organizzazione quest’ultima che altro non era se non una propaggine della Cia. La stampatrice infatti, usata dalle BR per redigere i comunicati emessi durante i 55 giorni del sequestro del presidente della DC, venne portata nella tipografia brigatista di via Pio Foà a Roma da Mario Moretti nel 1977. Ebbene tale macchina tipografica proveniva ufficialmente, come sostenuto in un servizio del 1990 dell’”Espresso” da un reparto unità speciali dell’esercito, sigla RUS. Secondo quanto dichiarato dal generale Gerardo Serravalle alla Commissione stragi, il RUS era “una proiezione del centro addestramento guastatori, il Cag di Alghero” Lo stesso Serravalle, che fu a capo di Gladio dal settembre 1971 al luglio del 1974, precisò che il “RUS” era un settore supersegreto, “sempre compartimentato da tutti”.
Dichiarazioni in contrasto con quanto invece affermato a suo tempo, dall’ex capo del SISMI, Giuseppe Santovito, dinanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta sul caso Moro. In relazione alla rivelazione dell’ Espresso, il senatore Sergio Flamigni, componente della Commissione Moro ed autore del libro “La tela del ragno” sul sequestro Moro ebbe a dichiarare : “ E’ una informazione di grande valore, che consente di rileggere in una nuova luce tutta la storia della “stampatrice” usata durante il sequestro del leader democristiano”.
Alla Commissione Moro, Flamigni ed altri commissari cercarono di approfondire la questione nel corso delle audizioni dei dirigenti dei servizi ed emerse che l’ufficio “RUS” era uno dei compartimenti segreti di Gladio, che altri non era, come si è detto, che una propaggine della Cia; il che ci riporta ancora una volta a un possibile coinvolgimento degli USA nel sequestro Moro. Non vi è dubbio pertanto che ci si trovò in presenza di una circostanza che sembrava avallare i sospetti di collegamento tra brigatisti e servizi deviati. Non risulta che le indagini sul punto che indurrebbero a ritenere un collegamento tra le BR e Gladio e quindi la CIA siano state approfondite al fine di chiarire o comunque smentire un siffatto rapporto.
Nell’ambito di una inchiesta aperta dal PM De Ficchy nel 1992 sul caso Moro si indagò anche sul ruolo che avrebbe svolto l’ex colonnello del Sismi, Camillo Guglielmi, ufficiale che, come venne accertato, si trovava nei pressi di via Fani, al momento in cui ebbe luogo l’agguato delle BR. Il Guglielmi inoltre sembra che fosse l’uomo incaricato dai servizi segreti di tenere i rapporti con esponenti della criminalità.
La presenza dl Guglielmi in via Fani non era stata segnalata agli inquirenti e venne alla luce casualmente a seguito della rivelazione di un ex carabiniere che poi fu costretto a ritrattare. Interrogato nel 1991, Gugliemi ammise che si trovava in via Fani a suo dire perché invitato a pranzo da un collega e che assistette al rapimento di Moro. Affermò di essere stato invitato dal colonnello Armando D’Ambrosio che effettivamente abitava nei pressi di via Fani. Questi dichiarò che Guglielmi si era presentato a casa sua poco dopo le nove ma negò di averlo invitato a pranzo aggiungendo che si era intrattenuto con lui solo qualche minuto perché, sempre a dire del Guglielmi, egli doveva tornare in strada in quanto “doveva essere accaduto qualcosa”.
Lasciando l’abitazione del collega, circostanza inverosimile, Guglielmi disse di non essersi accorto che all’incrocio con via Fani c’era stata una strage e di avere appreso che era stato sequestrato Moro soltanto quando era rientrato a casa. La versione fornita dal Guglielmi, come emerso nell’ambito dell’inchiesta condotta dal P.M. De Ficchy, fu smentita dall’ex agente del Sismi Ravasio il quale, parlando di Guglielmi, disse che la mattina del sequestro Moro, l’alto ufficiale si era precipitato in via Fani dopo avere ricevuto una telefonata di Musumeci, ai vertici del Sismi, che lo aveva invitato a recarsi subito in via Fani avendo appreso da un infiltrato delle BR, il cui nome di copertura era “Franco” che in via Fani sarebbe successo qualcosa di grosso e che forse avrebbero rapito Moro. Guglielmi, recatosi in via Fani sostenne successivamente di non aver potuto intervenire. Lo stesso, come scrive la giornalista Rita Di Giovacchino ne “Il libro nero della Prima Repubblica” avrebbe confidato a Ravasio di essere andato in via Fani a cose fatte e di essere rimasto sconvolto : “Ero lì’, c’erano tutti quei corpi a terra e non ho potuto fare niente”
Una strana circostanza è quella che per anni i servizi segreti fecero circolare la notizia che Gugliemi era morto. La figura e il ruolo di quest’ultimo, mai chiariti, riconducono verosimilmente a un coinvolgimento nel sequestro Moro dei servizi segreti e ,considerati i rapporti che Guglielmi teneva con la criminalità, a un interessamento della criminalità e in particolare della mafia, della n’drangheta e della banda della Magliana, contattati per la liberazione di Moro, Il pentito Marino Mannoia ha riferito che negli ultimi giorni della prigionia di Moro circolava una specie di parola d’ordine : “Lasciate perdere le iniziative per trovare Moro, qualcuno ha già deciso che deve essere ucciso”
Un elemento che rafforza la convinzione che il sequestro Moro non fu gestito esclusivamente dalle Brigate Rosse, così come ritenuto in sede processuale, è dato dal famoso comunicato numero 7, quello con cui i brigatisti annunciarono l’esecuzione di Moro indicando in un laghetto ghiacciato in provincia di Roma il luogo in cui era stato abbandonato il cadavere del presidente della DC. Ebbene, tutti i cinque processi del caso Moro hanno accertato che fu Antonio Giuseppe Chicchiarelli, un falsario legato alla banda della Magliana, a redigere il suddetto comunicato (il c.d. comunicato del lago della Duchessa) e che la stessa macchina da scrivere veniva usata nello stesso periodo di tempo dai brigatisti e da un soggetto esponente della criminalità romana e dei servizi segreti. Ciò venne confermato dalla testimonianza dell’ex capo dell’Ucigos, dr.Fariello il quale, sentito il 7 novembre 1980 dalla Commissione parlamentare di indagine sul delitto Moro, allorquando gli fu mostrato il comunicato n. 7 affermò : “ …era autentico, lo do per scontato…io mi baso sui miei collaboratori, i quali a suo tempo hanno riconosciuto che la battuta e la testina erano le stesse ( di quelle usate per gli altri comunicati brigatisti n.d.r.)
(Continua)