Sono note le polemiche che in questi giorni investono Bankitalia e Consob e in particolare la vigilanza di Palazzo Koch che non avrebbe vigilato abbastanza sulle vendite dei prodotti finanziari deteriorati che hanno determinato una vera e propria truffa nei confronti dei risparmiatori che hanno perso quasi tutti i loro risparmi. Senza volere entrare nel merito delle polemiche attuali va ricordato come, andando indietro negli anni, non è la prima volta che la Banca d’Italia è stata oggetto di polemiche e di accuse per inerzia nell’esercizio dei propri poteri di vigilanza. Va ad esempio ricordato il caso noto come “Iran Gate” che investì la BNL di Atlanta per i finanziamenti erogati per armare Saddam Hussein contro gli iraniani e ciò con la copertura di Reagan.
La Commissione presieduta da Gianuario Carta e Massimo Riva, concludendo l’inchiesta sui rapporti tra la filiale BNL di Atlanta e l’Irak, parlò della perdita di quasi quattro miliardi, tanto sarebbe stato il volume delle operazioni messe in piedi dall’ex direttore della filiale americana della Banca Nazionale del Lavoro di Atlanta, Chris Drogoul.
Questi 4mila miliardi di esposizione verso l’IRAK rappresentarono soltanto una piccola parte dei finanziamenti erogati dall’Istituto se come dichiarò Massimo Riva : “Operazioni di natura non dissimile rispetto a quelle riguardanti l’Irak e per importi cospicui, avrebbero interessato altri Paesi. Per alcuni non posso precisare i nomi, ma per altri posso dire che erano Paesi in via di sviluppo”.
Il dirigente della Banca Nazionale del Lavoro, Gian Maria Sartoretti, che chiese di essere ascoltato dalla Commissione a porte chiuse, temendo per la incolumità propria e della propria famiglia, fece riferimento anche ad affari condotti dalla filiale di Atlanta con la Continental Grain, la Dreyfuss e la Arved.
E’ certamente da escludere che i finanziamenti erogati a favore di Saddam Hussein fossero riconducibili ad una iniziativa autonoma di Chris Drogoul, il direttore della sede di Atlanta, essendo impossibile data l’entità dei finanziamenti, che della operazione non ne fossero a conoscenza i vertici della BNL. Drogoul, in una intervista al Manifesto, ribadì che di quanto accadeva nella filiale della BNL di Atlanta si era a conoscenza sia negli Stai Uniti che in Italia. Ma a chi si riferisce Dogoul quando parla di coloro che sarebbero stati a conoscenza della vicenda? Si riferisce ai servizi segreti, ai governi Usa e italiani, a tutti e due o ad uno solo di essi? si riferisce ai vertici della BNL? E’ difficile pensare che l’amministrazione Reagan fosse all’oscuro di tutto mentre è difficile stabilire se anche il governo italiano fosse a conoscenza dei fatti e cioè che la “banca del Tesoro” fosse coinvolta in questo traffico internazionale di armi. Un fatto però è certo e cioè, come scrisse Giuseppe F. Manuella in un articolo apparso sull’Unità il 22 aprile 1992, che i traffici di Drogoul sfuggirono alle quindici ispezioni eseguite in cinque anni dal dipartimento per gli Affari bancari dello Stato della Georgia, dalla Federal Reserve dalla società di revisione PeatMarwik, dagli ispettori della BNL di New York e che l’agenzia di Atlanta fu l’unica del nord America mai visitata dagli ispettori della BNL di Roma.
Allora governatore della Banca d’Italia era Carlo Azelio Ciampi e furono avanzate delle perplessità sul comportamento della stessa Banca e della Vigilanza. Perplessità che furono denunciate nella relazione della Commissione parlamentare nella quale si legge che la Banca, pur essendo stati, in seguito ad ispezioni, formulati sin dal 1986 “opportuni e fondati rilievi sulla gestione della BNL, non ne ha tratto le logiche conseguenze”. Ed ancora, secondo le risultanze della inchiesta condotta dal Senato, “Il campanello della Banca d’Italia fu debole tanto da non essere ascoltato dagli interessati”, ipotizzandosi così una sorta di culpa in vigilando da parte degli organi preposti alla vigilanza.
Ma un vero e proprio atto di accusa fu allora rivolto a Ciampi da Andreotti in occasione della sua audizione dinanzi alla Commissione parlamentare di inchiesta del Senato. Allora Andreotti accusò Ciampi di averlo tenuto , per cinque giorni, all’oscuro della vicenda del traffico di armi verso l’Irak, circostanza questa peraltro smentita dall’Istituto di emissione. Andreotti sostenne di essere rimasto colpito dal fatto che “per alcuni giorni dal sopralluogo dell’FBI nella sede della BNL il governo non venne tenuto al corrente nonostante la Banca d’Italia ne fosse venuta a conoscenza il 4 agosto e parlando con i cronisti disse : “Tutti sono rimasti sorpresi che si potesse fare una operazione così gigantesca, abusiva e truffaldina senza che nessuno se ne potesse accorgere prima. Anche la stessa Vigilanza della Banca d’Italia si è trovata sorpresa tant’è che per 4 giorni Bankitalia lo ha saputo, il governo no”.
Considerato che all’epoca il Governatore della Banca d’Italia era Ciampi, queste affermazioni furono interpretate da alcuni settori e in particolare dal pidiessino Giorgio Londei come un siluro indirizzato a Ciampi. La Procura della Repubblica di Roma aprì una indagine per accertare oltre la questione relativa alle forniture di armamenti che l’Irak aveva ottenuto attraverso la concessione di fondi della Banca Nazionale del lavoro, anche per verificare il comportamento della Vigilanza della Banca d’Italia avvertita dell’Affare Atlanta il 4gosto 1989 dalla Federal Reserve.
La Procura di Roma aprì una indagine condotta dall’allora Procuratore Ugo Giudiceandrea al quale l’ispettore della Banca d’Italia consegnò un voluminoso rapporto sui finanziamenti erogati dall’Istituto di credito per le esportazioni in Irak.Sembra che da tale rapporto emergessero responsabilità nei confronti di tre personaggi,il condirettore dell’area finanza della BNL e due impiegati.
Va ricordato, per quanto riguarda la vigilanza, che la Banca d’Italia esercita, in armonia con le disposizioni comunitarie, i poteri di vigilanza nei confronti delle banche, dei gruppi bancari e degli intermediari finanziari, avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all’efficienza e alla competitività del sistema finanziario, all’osservanza della normativa in materia creditizia e finanziaria.
Delle ombre vi furono sull’operato della Banca d’Italia anche in occasione delle vicenda relativa al crak delle banche di Sindona e a quella che vide coinvolto Roberto Calvi, dal 1975 presidente del Banco Ambrosiano.
Scrive Massimo Teodori nel libro “P2 la controstoria” : “Al crocevia di tutti i traffici bancari, finanziarie valutari degliuomini della P2 e dei loro alti protettori politici c’è la Banca d’Italia, organo supremo di vigilanza. Sindona prima e Calvi poi hanno potuto mettere in atto le loro spericolate manovre finanziarie, solo in quanto sono state consentite o non sono state impedite dalla Banca d’Italia”. In questo quadro, sempre secondo Teodorisi sarebbe collocata, allora, l’inefficienza della vigilanza della Banca d’Italia che avrebbe consentito, nel corso di un decennio, il verificarsi dei due crack, quello di Sindona nel 1974 e quello di Calvi nel 1982.
Se le considerazioni di Teodori appaiono forse eccessive e generalizzate, non vi è tuttavia dubbio che, come si è detto, qualche ombra investe le due vicende. La vicenda Sindona inizia il 9 agosto del 1974 allorquando la Banca d’Italia trasmette alla Procura della Repubblica di Milano “copia dei primi riferimenti” emersi dagli accertamenti ispettivi in Banca Unione e in Banca Privata Finanziaria”. Il 27 settembre dello stesso anno il Ministero del Tesoro dispone la liquidazione coatta degli istituti di credito di Michele Sindona nominando commissario per la liquidazione l’avvocato Giorgio Ambrosoli. Allorquando Ambrosoli richiede dopo appena quattro giorni, al Tribunale fallimentare, la dichiarazione di insolvenza, Sindona va in Svizzera poi a Formosa e infine negli Stati Uniti, giusto in tempo per sfuggire al mandato di cattura che l’ufficio istruzione di Milano emette nei suoi confronti per falso in bilancio.Dieci giorni dopo il Tribunale fallimentare dichiarava l’insolvenza.
Il 24 ottobre 1974, sulla base della relazione ricevuta dalla Banca d’Italia, la Procura della Repubblica di Milano emetteva un ordine di cattura per bancarotta fraudolenta aggravata e ciò mentre Sindona soggiornava in una suite dell’Hotel Pierre di New York ed interessava Gelli al fine di ottenere la revoca dei provvedimenti restrittivi. L’11 luglio del 1979, Giorgio Ambrosoli venne ucciso a Milano per mano del killer William Joseph Aricò e per tale omicidio venne emesso contro Sindona mandato di cattura da parte dei giudici milanesi Turone e Colombo. Si verifica, a questo punto il finto rapimento di Sindona e il suo viaggio in Sicilia con l’appoggio della mafia e della massoneria, vicenda di cui si detto ampiamente in un precedente articolo. Estradato in Italia dopo la condanna per l’omicidio Ambrosoli, Sindona morirà in circostanze oscure mentre si trovava ristretto nel carcere di massima sicurezza di Voghera. Questi in sintesi i punti salienti della vicenda.
Ma se nel 1974 la vicenda ebbe inizio, come si è detto, a seguito dell’invio da parte della Banca d’ Italia, degli accertamenti ispettivi effettuati sulle banche di Sindona, occorre vedere se, antecedentemente a tale data,vi siano state inerzie o peggio complicità della Banca d’Italia.Dalle audizioni di nove ispettori di tale Istituto, sentiti dalla commissione parlamentare di inchiesta, emerse un fatto incontestabile e cioè che dal 1971 al 1974, costoro avevano rilevato delle irregolarità nella gestione delle banche italiane di Sindona e che malgrado ciò l’Istituto di emissione,di cui allora era governatore Guido Carli , nell’agosto del 1974 autorizzò la fusione tra le banche di Sindona (Unione e la Privata Finanziaria) e consentì al Banco di Roma di concedere alle suddette banche un prestito di 200 milioni di dollari, peraltro insufficiente a salvare Sindona dal crack. Allora, sia Carli che gli amministratori del Banco di Roma, giustificarono tale operazione con lo scopo di non spaventare i risparmiatori e di difendere il buon nome del mondo bancario. Per inciso va detto che la maggioranza dei commissari ritennero tali giustificazioni insufficienti e scarsamente credibili.
Nel 1975, da New York, Sindona lanciò delle gravi accuse nei confronti della Banca d’Italia e del Governatore Carli da lui accusato di avere compiuto negli Stati Uniti, gravi irregolarità che lui sarebbe stato in grado di provare. Dichiarò allora Sindona : “La reale natura delle operazioni compiute in America dalla Banca d’Italia è sufficiente a dimostrare quale sia la tempra morale degli uomini che in Italia hanno montato una campagna persecutoria e diffamatoria contro di me”. Sindona accompagnò queste dichiarazioni mostrando ai giornalisti il testo di una relazione della “Securities And ExhangeCommission” di Washington, da cui sarebbero risultate delle irregolarità, verificatesi in occasione di una transazione finanziaria intervenuta nel 1969 tra la compagnia “ITT” e la compagnia “Hartford Fire”, transazione cui avrebbe partecipato illegalmente la Mediobanca su istruzioni della Banca d’Italia. In proposito Sindona esibì anche una lettera della Banca d’Italia, a firma di Guido Carli, con la quale la Mediobanca veniva autorizzata a svolgere la suddetta operazione che Sindona asseriva essere illegale. Senza volere scendere nei particolari della operazione finanziaria in questione , Sindona affermò che Mediobanca ( allora presieduta da Enrico Cuccia) e Banca d’Italia, con tale operazione avevano commesso anche un reato di falso in bilancio. In particolare dichiarò allora Sindona : “…La Banca d’Italia autorizzò una operazione chiaramente di comodo, fittizia, che rappresenta reato grave negli Stati Uniti, perché ha violato sia la legge antitrust che quella fiscale. Il carattere di comodo dell’operazione è espressamente riconosciuto nella corrispondenza tra Mediobanca e l’Istituto di emissione”.
Poco tempo dopo Sindona, nei cui confronti erano stati spiccati dai magistrati milanesi due mandati di cattura, rinnovava gli attacchi a Carli al quale nel frattempo era stata inviata una comunicazione giudiziaria. Sindona dichiarò che Carli aveva tentato di dimettersi dalla carica che rivestiva da quindici anni in relazione alla suddetta indagine ed aggiungeva : “Sono in possesso di altri documenti che però non consegnerò alla magistratura per timore di danneggiare ulteriormente le istituzioni italiane. Come italiano non mi rallegro per questa indagine; mi dispiace che le istituzioni del Paese abbiano subito un colpo tale da danneggiare il credito dell’Italia e quindi l’Italia”
Il 21 marzo del 1975, gli azionisti o ex correntisti della Banca Privata Italiana, posta in liquidazione con decreto del Ministero del Tesoro del 27 settembre 1974, citavano in giudizio la Banca d’Italia chiedendo che ne fosse dichiarata la responsabilità civile a causa delle omissioni del Servizio di vigilanza della Banca. Sostenevano infatti i ricorrenti che sebbene tra l’agosto del 1971 e il marzo del 1972 il Servizio di vigilanza avesse accertato, per quanto riguardava la Banca Unione, l’esistenza di una contabilità riservata e rilevanti perdite patrimoniali e per quanto riguardava la Banca Privata Finanziaria, violazioni delle norme bancarie e gravi perdite patrimoniali, il Ministero del Tesoro, il 29 dicembre 1973, previa autorizzazione della Banca d’Italia, aveva approvato l’aumento a 12 miliardi del capitale della Banca Unione e che gli azionisti di minoranza non avevano perciò esitato a sottoscrivere. I ricorrenti chiedevano quindi che la Banca d’Italia venisse condannata a risarcire agli azionisti un danno emergente e ai correntisti un danno di lucro cessante. La Banca d’Italia, costituitasi in giudizio,sostenne che gli atti in contestazione erano di competenza del Ministro del Tesoro nei cui confronti doveva essere proposta la domanda da parte degli azionisti e dei correntisti. Con la conseguenza che l’azione, proposta dinanzi la magistratura ordinaria, era improponibile. Il Tribunale civile di Milano respinse le richieste dei correntisti e degli azionisti ritenendole improponibili.
(1/ Continua)