(Pasquale Hamel) Leggo la notizia della messa in onda di un canale televisivo, che trasmetterà in lingua siciliana, a cui è stata data l'enfatica denominazione di "stupor mundi" richiamando uno dei tanti appellativi con cui viene ricordato il "puer Apuliae". Parlo di quel Federico II di Svevia, imperatore del Sacro Romano impero germanico, cui si deve la riduzione della Sicilia - fino ad allora luogo di convivenza di popoli diversi - a terra marginale di un impero che aveva lo sguardo lontano dal Mediterraneo. L'iniziativa, con il massimo rispetto per i promotori, sicuramente in buona fede, mi pare non possa che prestarsi a giuste critiche anche perché non ha nulla di originale e sembra rincorrere quanto sta avvenendo in qualche regione italiana.
L'identità di una terra come la nostra, identità complessa sedimentata nel corso di migliaia anni di storia, non può prestarsi a operazioni provinciali di basso profilo, perché tale é, come quella che viene messa in campo. Quell'identità va esaltata attraverso iniziative idonee - a cominciare dalla opportuna educazione alla memoria storica utile a fare apprezzare il portato culturale di cui la Sicilia può legittimamente menare vanto - tali da farne, piuttosto che di contrapposizione, strumento di crescita e di integrazione positiva.
Sono convinto che la gran parte di coloro che sostengono, a torto o ragione, la opportunità che " l'idea Sicilia " abbia più spazio nella cultura della nostra gente, si troveranno, quanto meno disorientati di fronte a questo mediocre folklorismo, così come disorientati lo sono stati veneti e lombardi allorquando si sono trovati davanti a similari esperimenti rivelatisi, nel breve periodo, fallimentari.
Vorrei aggiungere un'ulteriore riflessione che riguarda il tempo vissuto. Le difficoltà che incontra il nostro Paese, al di là delle congiunture economiche internazionali dovute alla riconfigurazione dei mercati a cagione della globalizzazione, sono soprattutto dovute ai vincoli culturali che lo rendono incapace di affrontare le sfide internazionali. Il nostro è un Paese che non ha ancora completato il cammino verso la modernità mentre incombe, con la complessità che la contraddistingue , la cosiddetta postmodernità, un Paese che ha forte bisogno di aprirsi al mondo per capire, avendone gli strumenti, quale sia il suo destino e in che termini questo stesso destino possa essere perseguito.
E' un Paese dunque che ha bisogno di strumenti di comunicazione adeguati che tuttavia in molti casi non ha. Piuttosto dunque che operazioni retrò, che non interessano nessuno e che tutt'al più saranno oggetto di curiosa derisione, più significative e produttive di utilità pratiche potrebbero essere iniziative tese alla diffusione delle lingue, in primo luogo la lingua inglese, mezzo indispensabile per capire e farci capire. Un'ultima battuta, necessaria a fugare luoghi comuni, relativa alla cosiddetta 'scuola poetica siciliana' qui richiamata come illustre antecedente della lingua siciliana. Ingannati dalla definizione di 'siciliana', molti fanno di quell' esperimento colto che, nella sua corte pugliese, proprio quel Federico promosse, un precedente della lingua siciliana.
Ebbene, quanto di meno vero. Federico tese infatti a creare una lingua nazionale che ponesse fine al monopolio del latino, una lingua per l'intera Italia nel contesto di quella che, con una certa forzatura, potremmo definire nazionalizzazione della penisola, niente a che fare con il vernacolo di cui oggi si parla. Anche poeti siciliani furono protagonisti in gran numero, partecipavano con le loro composizioni a quel movimento che, proprio per l'uso strumentale fattone dal l'imperatore germanico, andò incontro al fallimento. Infine, la Scuola poetica siciliana piuttosto che dare origine al siciliano, contribuì invece a dare sostanza a quel toscano nel quale furono scritte le opere letterarie universalmente riconosciute, e che sono orgoglio del genio italiano.
rispondo rapidamente al signore anonimo che disguisisce sulla scuola poetica siciliana. Il movimento promosso da Federico era svincolato dalla Sicilia isola e si riferiva al meridione. Quell'esperienza, confermo ha dato l'avvio al "volgare italiano" che ha avuto nel toscano il compimento. Tanto è vero che gli studiosi più accreditati della materia, Antonelli o Contini, parlano ormai di scuola siculo-toscana. Detto anonimo farebbe bene a consultare i tre volumi, pubblicati nei Meridiani Mondadori e curati, con particiolare attenzione dai miei amici Giovanni Ruffino e Antonino Buttitta anche per conto del centro di studi filologici siciliani. Per curiosità, sempre che conosca il tedesco, potrebbe consultare il volume curato dall'università di Amburgo a cura di Dagmar Raichesrt, dove c'è anche un mio saggio sulla scuola come strumento di potere.
Cordialmnete Pasquale Hamel
signor hamel, con la massima umiltà, cercherò di esporle il mio pensiero. ho già letto alcuni suoi libri riguardanti la storia della nostra amata sicilia(perché il mio buon senso mi spinge ad immaginare che lei come me la ami la sua terra), e in tutta sincerità ho riscontrato il solito disfattismo, pessimismo, nel quale sono cresciuto. l'unica differenza è che lei è un uomo colto che ha potuto studiare (e quindi ha maggiori colpe) e mio padre è solo un operaio. io mi sono stancato di questa sorta di masochismo nel quale è sprofondata la mia terra e i suoi uomini. basta. dobbiamo essere orgogliosi della nostra cultura, della nostra storia, e anche della nostra lingua. e ciò non significa affatto essere provinciali o retrogradi. lei sa benissimo (perché ribadisco, ha avuto la possibilità e la fortuna di studiare) che più lingue s'imparano da bambini e più ci si abitua ad impararne; lei sa benissimo, che in friuli per esempio il friulano si studia nelle scuole; lei sa benissimo che si studiasse da bambini il siciliano, il nostro popolo (di cui io orgogliosamente faccio parte) avrebbe più facilità nel distinguere il siciliano dall'italiano, guadagnandone sicuramente in capacità e qualità espressiva; dunque , non posso che pensare che lei è un fazioso. che lei fa parte di quella assurda "dannata" parte di borghesia siciliana, che si vergogna del suo popolo e della sua lingua. basta. mi fermo qui. iu sugnu orgogliusu da me lingua, e ci 'a staju nzingnannu puru a me figghiu. siddu si nzignassi a' scola però, fussi tuttu chiù facili, e n futuru, quannu iu nun ci sarrò chiù, 'u picciriddu putissi essiri puru chiù filici pinzannu a mia, e a' lingua ca parrava ddu orgogliusu foddi sicilianu di so patri. saluti siculi.
p.s. pirandello scrissi n sicilianu, tornatore, i so' straordinari film 'i scrissi n sicilianu. ma si pò sapiri picchì 'un s'hav' a tramannari na lingua ancora accussì mpurtanti? picchì?
rispondo rapidamente al signore anonimo che disguisisce sulla scuola poetica siciliana. Il movimento promosso da Federico era svincolato dalla Sicilia isola e si riferiva al meridione. Quell'esperienza, confermo ha dato l'avvio al "volgare italiano" che ha avuto nel toscano il compimento. Tanto è vero che gli studiosi più accreditati della materia, Antonelli o Contini, parlano ormai di scuola siculo-toscana. Detto anonimo farebbe bene a consultare i tre volumi, pubblicati nei Meridiani Mondadori e curati, con particiolare attenzione dai miei amici Giovanni Ruffino e Antonino Buttitta anche per conto del centro di studi filologici siciliani. Per curiosità, sempre che conosca il tedesco, potrebbe consultare il volume curato dall'università di Amburgo a cura di Dagmar Raichesrt, dove c'è anche un mio saggio sulla scuola come strumento di potere.
Cordialmnete Pasquale Hamel
Fa piacere che nella "risposta - non risposta" (comunque, non avevo posto alcuna domanda) del signor Hamel non si faccia più riferimento alla sua precedente affermazione secondo la quale è "quanto di meno vero" dire che "l'esperimento colto" promosso da Federico II alla sua corte sia stato "un precedente della lingua siciliana" e che la lingua usata in questo esperimento non avesse "niente a che fare con il vernacolo di cui oggi si parla".
La lingua siciliana di oggi è la prosecuzione diretta di quella usata alla Scuola Poetica Siciliana (che però presentava alcuni provenzalismi presumibilmente assenti nella lingua parlata ai tempi).
Che poi il Siciliano abbia dato i suoi apporti alla nascente lingua italiana, questo è logico, data l'importanza del Regno di Sicilia a quei tempi; ma certamente l'italiano di oggi non è l'evoluzione del volgare usato alla Scuola Poetica Siciliana: questo si pensava un po' di "stagioni" fa...
Cordialità ricambiata.
rispondo rapidamente al signore anonimo che disguisisce sulla scuola poetica siciliana. Il movimento promosso da Federico era svincolato dalla Sicilia isola e si riferiva al meridione. Quell'esperienza, confermo ha dato l'avvio al "volgare italiano" che ha avuto nel toscano il compimento. Tanto è vero che gli studiosi più accreditati della materia, Antonelli o Contini, parlano ormai di scuola siculo-toscana. Detto anonimo farebbe bene a consultare i tre volumi, pubblicati nei Meridiani Mondadori e curati, con particiolare attenzione dai miei amici Giovanni Ruffino e Antonino Buttitta anche per conto del centro di studi filologici siciliani. Per curiosità, sempre che conosca il tedesco, potrebbe consultare il volume curato dall'università di Amburgo a cura di Dagmar Raichesrt, dove c'è anche un mio saggio sulla scuola come strumento di potere.
Cordialmnete Pasquale Hamel
Molto, molto provinciale il signor Hamel.
Ed anche molto, molto ignorante in temi linguistici.
Infatti, afferma che è "quanto di meno vero" dire che "l'esperimento colto" promosso da Federico II alla sua corte sia stato "un precedente della lingua siciliana" e che la lingua usata in questo esperimento non avesse "niente a che fare con il vernacolo di cui oggi si parla"; ed infine "la Scuola poetica siciliana piuttosto che dare origine al siciliano, contribuì invece a dare sostanza a quel toscano".
Da quanto scrive Hamel si evince chiaramente che non è a conoscenza di alcune "novità":
Nel 1790 il Tiraboschi pubblica un'opera del filologo modenese Giovanni Maria Barbieri, "L'arte del rimare", del 1572, rimasta fino ad allora inedita. In questa opera il Barbieri aveva trascritto da un "Libro Siciliano" (poi andato perduto) alcuni componimenti o parte di alcuni componimenti della Scuola Poetica Siciliana. In particolare:
- la canzone "Pir meu cori alligrari" di Stefano Protonotaro;
- il frammento "Allegru cori plenu" di Re Enzo;
- le ultime due stanze della canzone "S'eo trovasse pietanza" di Re Enzo;
- la stanza iniziale della canzone "Gioiosamente canto" di Guido delle Colonne
Tutti questi versi hanno una particolarità: sono scritti in Siciliano. Fino ad allora, infatti, i testi dei componimenti della Scuola Poetica Siciliana a noi arrivatici, apparivano redatti in una lingua abbastanza lontana dal Siciliano come lo conosciamo oggi e molto più simile all'attuale italiano, tanto da far pensare quanto riferisce Hamel. Ma questo accadeva qualche secolo fa... Dopo la pubblicazione del Tiraboschi e dopo che l'ipotesi del De Bartholomoeis di riscrittura tardiva in Siciliano dei versi trascritti dal Barbieri fu definitivamente smentita dal Debenedetti, si iniziò il percorso (che Hamel non ha nemmeno cominciato...) che portò a comprendere che i testi della Scuola Poetica Siciliana giuntici attraverso i canzonieri Vaticano 7393, Banco Rari 217 e Laurenziano Rediano 9, non erano in lingua originale ma frutto di una traduzione in toscano; e sotto questa nuova luce è stata pure reinterpretata la cosiddetta "rima siciliana" (rima non perfetta): non un vezzo poetico ma frutto della traduzione toscana (quindi, addirittura, prova che tale traduzione sia effettivamente avvenuta). Oggi nessuno più (meno Hamel) pensa che tali testi ci siano arrivati nella lingua originaria che veniva usata alla Scuola Poetica Siciliana.
Lingua che, proprio il contrario di quanto afferma Hamel - anche un bambino se ne accorgerebbe - ha molto a che fare con il vernacolo di cui si parla oggi. Basta leggere questi versi (ma anche il titolo stesso) di "Pir meu cori alligrari":
E si pir ben amari
cantau juiusamenti
homo chi avissi in alcun tempu amatu,
ben lu diviria fari
plui dilittusamenti
eu, chi su di tal donna inamuratu,
dundi è dulci placiri,
preiu e valenza e juiusu pariri
e di billizi cuta[n]t' abondanza,
chi illu m'è pir simblanza
quandu eu la guardu, sintir la dulzuri
chi fa la tigra in illu miraturi;
Hamel ha ancora tanto da studiare in materia (una materia, il Siciliano, che forse non gli piace molto). Nel frattempo, non scriva inesattezze perché fa disinformazione. E questo eccellente quotidiano on-line non merita di essere usato per disinformare.
quanto è triste il rinnegare le proprie origini.
I dialetti. <<ruggiose reliquie>>, che «perpetuano talora la discordia e la debolezza fra gli abitatori d' una patria comune». Mentre è necessario fondere «cento popoletti imbecilli in un corpo forte, operante e pensante».
Queste parole le scrisse sul "Politecnico" del 1842 un certo Carlo Cattaneo, icona misconosciuta e maldigerita degli autonomisti, dei federalisti e dei separatisti alle vongole della Penisola intera, Isole comprese.
Concordo pieamente con Pasquale Hamel: si tratta di una involuzione che non serve a nulla.
quanto è triste il rinnegare le proprie origini.
"Si sugnu lava o sùrfuru
si sugnu aranciu o pala
si sugnu jnestra o mènnulu,
ju non lu pozzu diri.
Chiddu ch'è certu, sugnu: e sugnu sicilianu".
Turi Lima
Il Sig. Hamel avrebbe ragione se considerasse che ciò che lui auspica si DEVE pretendere dalla politica e dalle istituzioni, non da un gruppo(?)-associazione di cittadini!
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« Omeru nun scrissi pi grecu chi fu grecu, o Orazziu pi latinu chi fu latinu? E siddu Pitrarca chi fu tuscanu nun si piritau di scrìviri pi tuscanu, pirchì ju avissi a èssiri evitatu, chi sugnu sicilianu, di scrìviri pi sicilianu? Haiu a fàrimi pappagaddu di la lingua d'àutri? »
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(Antonio Venziano)
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A mia mi piaci assai stu telegiurnali in sicilianu.
Mi dispiaci na 'ticchia cà a Pasquali nun ci piaci, ma un fà nnenti, u tempu è galant'omu.
"Un populu diventa poviru e servu quannu ci arrubbanu a lingua addutata di patri".
Franciscu Salinitru
Ancora una volta Pasquale Hamel non perde occasione per criticare tutto ciò che di discosta dalla sua ideologia. Che parli pure. Intanto, la maggior parte di coloro che seguono quotidianamente il TG Stupor Mundi si chiedono: "Chi è Pasquale Hamel?"
E' uno che dice cose sacrosante, a quanto pare...
Il compito dei giornalisti non è quello di attaccare o cercare di ridicolizzare un'iniziativa, uno scoop o una tragedia (ecc ecc) ma di darne imparziale informazione. Qui, invece, si vede una critica ingiustificata e non basata su argomentazioni serie, non seguita da studi a livello di identità non solo siciliana ma di ogni popolo che chiede rispetto dei propri diritti e che mira all'autodeterminazione, dove la lingua è fondamentale nel processo di autodeterminazione. Mi dispiace notare come il giornalista di codesto articolo non si ricordi che la Sicilia abbia una storia centenaria come "Nazione", che la Sicilia ha sempre avuto una lingua, che la Siclia è trattata da colonia da quel "Paese" di cui parla Hamel, che la Sicilia ha uno statuto che la porta ad essere confederata sempre al "Paese" di cui sopra e quindi la Sicilia ha il diritto di difendere la propria storia, la propria cultura e la propria lingua. Una lingua che, ricordo al sig. Hamel, è stata riconosciuta a livello europeo tramite la "Carta Europea per le lingue regionali e minoritarie" (La lingua siciliana si deve ritenere una Lingua Regionale o minoritaria ai sensi della "Carta Europea per le lingue regionali e minoritarie", che all'Art. 1 afferma che per "lingue regionali o minoritarie si intendono le lingue ... che non sono dialetti della lingua ufficiale dello stato". La "Carta Europea delle Lingue Regionali o minoritarie" è stata approvata il il 25 giugno 1992 ed è entrata in vigore il 1 marzo 1998. L'Italia ha firmato tale Carta il 27 giugno 2000 ma non l'ha ancora ratificata.)
Il fatto che l'Italia non abbia ratificato tale carta, nonostante l'abbia firmata non vuol dire che non abbia valore. Il Siciliano è la nostra lingua e va difesa.
Anche l'UNESCO la riconosce come lingua.
Solo gli italiani e parte dei siciliani non vogliono capirne l'importanza e non vogliono che si tramandi.
Il peggior nemico della Sicilia sono i siciliani stessi, per questo resteremo sempre una colonia sfruttata.
Cordialmente,
Salvatore Mangano
Presidente Ass. Culturale
"La Sicilia ai Siciliani" Messina
Siciliano
La Sicilia, che dal 1946 gode di un proprio Statuto di Autonomia, mai applicato fino in fondo dai politici Siciliani che l'hanno governata sino ad oggi, è l'unica Regione a Statuto Speciale che non si vede riconosciuta la propria lingua. Sia l'Unesco Red Book che Ethnologue e molti altri studiosi affermano che il siciliano è una lingua distinta dall'italiano. Secondo lo Studio del Centro Ethnologue di Dallas, "il Siciliano è differente dall'Italiano standard in modo sufficiente per essere considerato una lingua separata","è inoltre una lingua ancora molto utilizzata e si può parlare di parlanti bilingui" in siciliano e italiano standard.
Se a livello culturale esiste ancora oggi una fiorente attività che ruota sul siciliano, a livello politico mancano ancora forti segni di rilancio della battaglia per la valorizzazione della lingua siciliana. La rinascita in questi ultimi anni di movimenti politici sicilianisti come Noi Siciliani o il Partito Siciliano d'Azione potrebbe però riportare in auge questa tematica.
Ancora una volta Pasquale Hamel non perde occasione per criticare tutto ciò che di discosta dalla sua ideologia. Che parli pure. Intanto, la maggior parte di coloro che seguono quotidianamente il TG Stupor Mundi si chiedono: "Chi è Pasquale Hamel?"
perche' stupirsi ... a parte la denominazione .. stupor mundi...
questa e' la sintesi di cio' che ho colto quando con la gente si parla di non perdere l'uso del siciliano.
quali tradizioni, quale storia da conoscere o rispolverare.
volevamo il siciliano ... eccolo
Bene facciamo pure un canale televisivo che trasmetterà in lingua inglese con qualche puntata in dialetto "lummardo" così facciamo contento l' autore di questo articolo intriso di disfattismo e un tantinello arrogante. Quello che ha fatto o intendeva fare Federico II non significa che ora noi Siciliani non possiamo autodeterminarci anche con la nostra lingua a prescindere che sia stata o no lingua letteraria nazionale. Ma chi se ne frega di ciò?
Che ben vengano tutte le iniziative intese all' autodeterminazione di un popolo. Purtroppo, una volta che ci hanno privato della memoria storica utile, unico punto del suo articolo che condivido, siamo costretti ad autodeterminarci.
D.L.
S'un ti piaci, 'un ti lu taliari. In Còrsica c'è lu jurnali corsu, in Catalùgna macari, ma pirchì l'ùnichi ca non ponnu parrari nna la so lingua semu nuàutri? Boh, sap'iddhu...
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