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Dov’è nata la rivolta: Gela, gli autotrasportatori, ex carrettieri, anima dei Forconi. Le gesta del capo, “il biondino”, nella guerra di mafia

di Salvatore Parlagreco
21 gennaio 2012 18:32
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Il “covo” dei Forconi più affollato è Gela, il petrolchimico è stato “sequestrato” dai blocchi degli autotrasportatori al punto da far temere che l’Eni decidesse lo stop delle attività produttive della fabbrica, evento senza precedenti. Un corteo funebre, con canti e litanie, è stato inscenato a Gela per “annunciare” la morte dell’agricoltura, devastata dai prezzi alle stelle dell’energia.

Perché Gela e non altrove?

Gli autotrasportatori di Gela hanno fatto la storia della Sicilia, nel bene e nel male. Sono loro a scandire il passaggio dall’economia agricola all’industria, con tutte le inquietudini, le malandrinate, le crisi, le resurrezioni che la transizione – rapida e “violenta” – ha comportato per una comunità schiacciata dal peso dei nuovi bisogni e costretta, costretta a subire scelte prese altrove, mai coinvolta (se non a livello operaio) nei furibondi cambiamenti.


L’industrializzazione altrove compiutasi in due secoli, Gela l’ha tenuta a battesimo in quattro-cinque anni. I maestri elementari hanno preferito indossare le tute (con fierezza), i braccianti sono diventati chimici e metalmeccanici e molti contadini, autotrasportatori.
Negli anni Cinquanta un treno interminabile di carretti, ogni notte, attraversava la città alla volta delle distese di grano e di cotone: Massari, contadini, braccianti utilizzarono questo mezzo di trasporto finché non arrivarono sul mercato le Ape (“lape”, in gergo dialettale), che erano carretti a motore. Le tre ruote furono una rivoluzione nella rivoluzione. Quando il petrolchimico fu inaugurato nel ’62, molti possessori di Ape comperarono i Tir e a Gela nacque la cooperativa di autotrasportatori più numerosa del Mezzogiorno d’Italia, più di cinquecento padroncini che attraversavano l’Italia in lungo e largo per portare ovunque i prodotti del petrolchimico.

Presidente della cooperativa divenne un autotrasportatore “importante”, che chiamavano “il biondino”. Era nipote di un deputato democristiano e, come venne accertato poi, il capo della mafia a Gela, colui che avrebbe combattuto la guerra più sanguinosa della città contro gli “stiddari”. A Gela, infatti, la criminalità locale non sopportò l’invasione dei boss del palermitano, del Vallone e del Riesino, scesi a frotte con le raccomandazioni dei padrini politici, accettati dai manager e dirigenti del petrolchimico (locali, romani e milanesi) come il male minore. Per amore di pace, perché la fabbrica facesse il suo lavoro senza “incidenti”.

Ed in effetti, l’Eni non subì mai “incidenti”, i subappalti furono dosati in modo diligente, tanto da accontentare tutte le parti in causa, quelle legali, e le altre, in confessabili. Così Gela divenne mafiaville, mentre nei libri dei sociologi e degli esperti di grandi trasformazioni sociali si leggeva che l’industria avrebbe portato sviluppo e lo sviluppo avrebbe “ucciso” la mafia. A Gela avvenne il contrario, l’industria e le grandi opere (diga, porto isola, subappalti ed appalti di servizi) fecero arrivare come mosche gli uomini di Cosa nostra. Non avevano capito, i dottori della società, una cosa semplicissima: la mafia va dove c’è da fare i soldi e ci sono le condizioni per farli.

Gli autotrasportatori, pur male rappresentati, non hanno nulla a che vedere con il crimine organizzato, sono una categoria che si spezzata la schiena per pagarsi l’investimento, mostruoso per le loro tasche. Oggi annaspano, sotto i colpi del caro carburante.


Le distanze fra Europa, Nord Italia, Centro e il Sud si sono allungate invece che accorciarsi. I treni si fermano a Napoli, le autostrade, pure, in pratica. Il ponte con i mercati che contano sono loro, dunque, gli autotrasportatori. Gente dura, terragna, abituata a disagi e avversità, ma anche a ragionare con la propria testa.


Se l’impresa, il sindacato, la politica li ghettizza o, addirittura, li criminalizza, commette un errore mortale. Sono loro, nel mondo, ad avere preceduto le rivoluzioni. Sempre. Quando si fermano, si ferma tutto.

Occorre ascoltarli e liberarli, se occorre, di mele marce.
 

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Anonimo 22 gennaio :48
L'utente ha risposto al commento anonimo del 22 gennaio 2012. Visualizza »

I primi politicanti gelesi cominciano a parlare soltanto dopo il quinto giorno, cioe' dopo che hanno capito che i gelesi li vogliono eliminare politicamente. Ci vediamo alla prossima campagna elettorale. Stavolta non vi voteremo nemmeno se prometterete la luna o u pilu pi tutti.

 hai perfettamente ragione.. e lo stesso vale per i politici provinciali, regionali e statali. 
Non venite ci a cercare.. vergogna. 

Anonimo 21 gennaio :00

I primi politicanti gelesi cominciano a parlare soltanto dopo il quinto giorno, cioe' dopo che hanno capito che i gelesi li vogliono eliminare politicamente. Ci vediamo alla prossima campagna elettorale. Stavolta non vi voteremo nemmeno se prometterete la luna o u pilu pi tutti.

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