(Fonso Genchi) Prendiamo spunto dal convegno svoltosi a Barrafranca sabato scorso dal tema “Lingua e cultura siciliana nelle scuole”, ottimamente organizzato dalla locale associazione culturale “Il vessillo del Vespro”, e dalla celebrazione odierna (26 settembre) della “Giornata Europea delle Lingue”, istituita dal Consiglio d’Europa, con il patrocinio dell’Unione Europea, nel 2001 e giunta alla sua decima edizione, per alcune riflessioni sul tema
Il motto che, fin dalla prima edizione, caratterizza la Giornata Europea delle Lingue è “Celebrare la diversità linguistica, il plurilinguismo, l’apprendimento delle lingue lungo tutto l’arco della vita”.
Tutta la politica linguistica dell’Unione Europea è votata al plurilinguismo e alla promozione e tutela anche delle lingue regionali e minoritarie. Ne è un chiaro esempio la “Carta Europea delle Lingue Regionali o Minoritarie”, trattato tra i paesi membri risalente al 1992 ed entrato in vigore il primo marzo del 1998 (ma non in Italia; poi vedremo il perché). Tale carta impegna gli stati che la firmano ad attuare alcuni strumenti legislativi volti alla tutela e promozione delle lingue regionali, termine con il quale vengono definite quelle lingue “usate tradizionalmente sul territorio di uno Stato dai cittadini di detto Stato che formano un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione dello Stato e diverse dalla lingua ufficiale dello Stato”; viene poi specificato che “questa espressione (lingua regionale o minoritaria) non include né i dialetti della lingua ufficiale dello Stato, né le lingue dei migranti”. Dunque, in tale categoria rientra a pieno titolo anche il Siciliano.
La Carta Europea delle Lingue Regionali o Minoritarie prevede, tra l’altro, anche l’insegnamento di tali lingue nelle scuole di ogni ordine e grado, l’ammissione del suo uso in ambiti giudiziari e amministrativi e il loro utilizzo nei mezzi di informazione.
Tale carta è stata firmata dall’Italia il 27 giugno del 2000, con grave ritardo rispetto alla maggior parte dei paesi dell’Unione, e, cosa ancor più grave, non è stata mai ratificata. L’Italia, infatti, è uno di quegli otto paesi europei su 33 - l’unico paese di una certa importanza assieme alla Francia e alla Russia - che alla firma non ha fatto seguire la ratifica. Probabilmente tutto ciò non è un caso ma frutto di un atteggiamento politco-istituzionale, radicato anche in alcune sacche della popolazione, di ostilità nei confronti del pluralismo linguistico specie se comprendente le lingue regionali, dette solo in Italia - anche questo non per caso - e con una punta di velato disprezzo, “dialetti”.
La politica dell’Unione Europea è in totale sintonia con gli appelli dell’UNESCO, l'organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura che redige periodicamente un atlante delle lingue a rischio di estinzione. Per il momento, ogni due settimane nel mondo si estingue una lingua; ma il numero è destinato ad aumentare e si prevede che nel 2100 rimarranno vive meno della metà delle attuali quasi 7.000 lingue parlate in tutto il mondo; una gravissima perdita per il patrimonio culturale dell’Umanità.
Nel Red Book of Endangered Languages del 1999 dell’UNESCO la lingua siciliana veniva classificata al massimo livello, cioè il VI, come “lingua che non corre alcun pericolo di estinzione, con sicura trasmissione alle nuove generazioni”, al pari dell’Italiano, dell’Inglese e di tutte le più importanti lingue del mondo. Ma nell’aggiornamento dell’Atlas del 2009 la lingua della nostra terra ha peggiorato la propria posizione, andando a finire nella categoria successiva, la quinta, quella delle “lingue vulnerabili” (“molti bambini la parlano ma in ambiti ristretti come quello familiare”). Un campanello d’allarme importante è suonato.
Nel XXI secolo, nell’era dei mezzi di comunicazione di massa e dell’istruzione di massa, è impensabile che, per evitare l’estinzione di una lingua, pur attualmente ancor vigorosa, ma che non gode dello status di lingua ufficiale e di nessun altro tipo di tutela legislativa, ci si possa affidare solo alla sua forza intrinseca; per questo gli organismi internazionali, sensibili al mantenimento del patrimonio linguistico dell’Umanità, invitano gli stati a prendere provvedimenti legislativi adeguati, a cominciare dall’introduzione dell’insegnamento a scuola delle lingue regionali o minoritarie e del loro uso nei mezzi di comunicazione di massa.
E proprio in linea con i dettami dell’Europa e con gli appelli dell’UNESCO – oltre che con la normativa scolastica italiana e quella statutaria - lo scorso 18 maggio la Regione Siciliana ha emanato una legge volta anche all’insegnamento nelle scuole della letteratura e del “patrimonio linguistico” siciliano. “Patrimonio linguistico”: lo abbiamo messo tra virgolette perché questo non era il termine esatto presente nel testo del disegno di legge così come era uscito dalla V commissione Cultura dell’ARS e giunto in aula per l’approvazione. In quel testo, così come nei precedenti ddl in materia presentati dai deputati Marrocco (2008) e Lentini (2010), si parlava di “lingua siciliana”; ma, in extremis, l’approvazione di un emendamento presentato dal deputato Lentini faceva modificare in tal senso il testo. Forse ci si è ricordati che in Italia è quasi proibito definire “lingua” un idioma regionale non ufficiale, seppur con un passato glorioso (il siciliano, oltre che primo “volgare” illustre, fu lingua ufficiale di Stato nel XIII e nel XIV secolo).
Nonostante l’approvazione di tale legge, restano tanti i dubbi e le incertezze sul futuro del Siciliano. Innanzitutto: questa legge verrà davvero attuata? E, se sì, come? Basterà questa legge per ridare vigore alla lingua siciliana? Non occorrerebbe una strategia di tutela linguistica più organica e completa, come accade in altre regioni d’Europa?
Altre lingue, alcune anche con un curriculum meno nobile di quello del Siciliano, parlate da un numero di persone inferiore, meno vigorose e con più problemi di standardizzazione oggi sono lingue ufficiali regionali; ci riferiamo al Gallego, al Basco, al Catalano, al Corso ma, per restare in Italia, anche al Sardo (lingua ufficiale di Sardegna dal 1997).
Il linguista Christopher Moseley, responsabile dell’Atlas dell’UNESCO, sostiene che, affinché una lingua non si estingua e riprenda vigore, occorrono essenzialmente due fattori: che ci siano degli atti politici e istituzionali volti alla tutela e all’uso di essa e, soprattutto, che ci sia una presa di coscienza militante da parte della gente.
In Sicilia questi due fattori sono presenti?
Oh, che bravo! E, senta, già che c'è, non potrebbe aggiungere uno sproloquio sugli ascari? Non potrebbe gracchiare anche Lei AnTuDo, anche solo un pochino?!
Per favore non darmi del Lei. Preferisco il Vussìa.
Hai ragione, la discussione è abbondantemente uscita dai binari.
Qui non si tratta di discettare se al critico letterario "cascinaro" piaccia o no la letteratura siciliana al punto da doverla insegnare nelle scuole (se ognuno di noi dovesse discutere dell'importanza relativa di ciò che si studia a scuola staremmo freschi...).
I termini del problema sono molto più semplici.
O le parlate/dialetti siciliani sono riconducibili ad un ceppo comune di lingua siciliana, cioè il Siciliano, riconosciuto o no, ufficiale o no, che è una "lingua regionale", ovvero sono riconducibili a varianti della lingua italiana.
Nel primo caso il Siciliano è degno di tutela, come diversità culturale e come valore in sé, ai sensi di una precisa normativa internazionale ed europea che, per motivi nazionalistici, l'Italia invece disattende.
Nel secondo caso non è vietata la tutela ma si tratta oggettivamente di un fatto di minore importanza.
La risposta, di tutti i linguisti mondiali, con la significativa eccezione della maggioranza di quelli italiani (chissà perché), è che il Siciliano è una lingua distinta dall'Italiano, che non ne è affatto un dialetto, che semmai sono dialetti del siciliano quelli che si parlano in ogni parte dell'Isola (cortile Cascino compreso). E' una risposta ovvia, dettata quanto meno dal buon senso.
E in tal caso la tutela è dovuta con tutti i mezzi con cui si realizza tranquillamente in moltissime altre parti d'Europa (e d'Italia). Altrimenti lo Stato italiano può definirsi uno stato totalitario che opprime le culture regionali.
Il problema è solo questo. E non ammette altra soluzione se non quella di cambiare la normativa europea.
Per tutelare il sardo non devo fare un paragone tra la letteratura sarda e quella italiana e poi decidere qual è la più "bella". Il sardo esiste, la sua letteratura pure, e tanto basta a risolvere il problema.
Il vero fatto è che qualcuno sostiene che a scuola si può studiare qualunque cosa...tranne il siciliano. E poi cerca le motivazioni di merito per giustificare questo pregiudizio a priori, indifendibile da ogni punto di vista. Motivazioni che retoricamente si possono trovare dall'una parte e dall'altra se si vuole "trolleggiare".
Se invece il problema è impostato come si deve (il Siciliano è lingua regionale e quindi deve essere tutelato in Italia come si farebbe in qualunque stato di diritto), la discussione si chiude subito. Il resto è odio e vomito antisiciliano di cui è bene liberarsi al più presto. O di cui fregarsene e tirare diritto.
Anche una volta la lingua maltese venne considerato a tutti gli effetti un dialetto italiano... tutta roba fascista! Peccato che ancor oggi sentiamo il bisogno di difendere la nostra terra e valorizzare questa importante tradizione linguistica siciliana.
///La risposta, di tutti i linguisti mondiali, con la significativa eccezione della maggioranza di quelli italiani (chissà perché), è che il Siciliano è una lingua distinta dall'Italiano, che non ne è affatto un dialetto, che semmai sono dialetti del siciliano quelli che si parlano in ogni parte dell'Isola (cortile Cascino compreso). E' una risposta ovvia, dettata quanto meno dal buon senso.///
Hai ragione, la discussione è abbondantemente uscita dai binari.
Qui non si tratta di discettare se al critico letterario "cascinaro" piaccia o no la letteratura siciliana al punto da doverla insegnare nelle scuole (se ognuno di noi dovesse discutere dell'importanza relativa di ciò che si studia a scuola staremmo freschi...).
I termini del problema sono molto più semplici.
O le parlate/dialetti siciliani sono riconducibili ad un ceppo comune di lingua siciliana, cioè il Siciliano, riconosciuto o no, ufficiale o no, che è una "lingua regionale", ovvero sono riconducibili a varianti della lingua italiana.
Nel primo caso il Siciliano è degno di tutela, come diversità culturale e come valore in sé, ai sensi di una precisa normativa internazionale ed europea che, per motivi nazionalistici, l'Italia invece disattende.
Nel secondo caso non è vietata la tutela ma si tratta oggettivamente di un fatto di minore importanza.
La risposta, di tutti i linguisti mondiali, con la significativa eccezione della maggioranza di quelli italiani (chissà perché), è che il Siciliano è una lingua distinta dall'Italiano, che non ne è affatto un dialetto, che semmai sono dialetti del siciliano quelli che si parlano in ogni parte dell'Isola (cortile Cascino compreso). E' una risposta ovvia, dettata quanto meno dal buon senso.
E in tal caso la tutela è dovuta con tutti i mezzi con cui si realizza tranquillamente in moltissime altre parti d'Europa (e d'Italia). Altrimenti lo Stato italiano può definirsi uno stato totalitario che opprime le culture regionali.
Il problema è solo questo. E non ammette altra soluzione se non quella di cambiare la normativa europea.
Per tutelare il sardo non devo fare un paragone tra la letteratura sarda e quella italiana e poi decidere qual è la più "bella". Il sardo esiste, la sua letteratura pure, e tanto basta a risolvere il problema.
Il vero fatto è che qualcuno sostiene che a scuola si può studiare qualunque cosa...tranne il siciliano. E poi cerca le motivazioni di merito per giustificare questo pregiudizio a priori, indifendibile da ogni punto di vista. Motivazioni che retoricamente si possono trovare dall'una parte e dall'altra se si vuole "trolleggiare".
Se invece il problema è impostato come si deve (il Siciliano è lingua regionale e quindi deve essere tutelato in Italia come si farebbe in qualunque stato di diritto), la discussione si chiude subito. Il resto è odio e vomito antisiciliano di cui è bene liberarsi al più presto. O di cui fregarsene e tirare diritto.
Lei ha centrato in pieno la questione.
Fonso Genchi
Bravo, continui così. Quest'ultima affermazione getta luce sulle sue reali intenzioni in questo dibattito, e sulle motivazioni molto politiche e molto poco linguistico-letterarie. Per me è una risposta eccellente.
Mi sembra che il famigerato antisicilianista di Castelbuono "Tor Romeo" sia tornato a fare sentire!
Hai ragione, la discussione è abbondantemente uscita dai binari.
Qui non si tratta di discettare se al critico letterario "cascinaro" piaccia o no la letteratura siciliana al punto da doverla insegnare nelle scuole (se ognuno di noi dovesse discutere dell'importanza relativa di ciò che si studia a scuola staremmo freschi...).
I termini del problema sono molto più semplici.
O le parlate/dialetti siciliani sono riconducibili ad un ceppo comune di lingua siciliana, cioè il Siciliano, riconosciuto o no, ufficiale o no, che è una "lingua regionale", ovvero sono riconducibili a varianti della lingua italiana.
Nel primo caso il Siciliano è degno di tutela, come diversità culturale e come valore in sé, ai sensi di una precisa normativa internazionale ed europea che, per motivi nazionalistici, l'Italia invece disattende.
Nel secondo caso non è vietata la tutela ma si tratta oggettivamente di un fatto di minore importanza.
La risposta, di tutti i linguisti mondiali, con la significativa eccezione della maggioranza di quelli italiani (chissà perché), è che il Siciliano è una lingua distinta dall'Italiano, che non ne è affatto un dialetto, che semmai sono dialetti del siciliano quelli che si parlano in ogni parte dell'Isola (cortile Cascino compreso). E' una risposta ovvia, dettata quanto meno dal buon senso.
E in tal caso la tutela è dovuta con tutti i mezzi con cui si realizza tranquillamente in moltissime altre parti d'Europa (e d'Italia). Altrimenti lo Stato italiano può definirsi uno stato totalitario che opprime le culture regionali.
Il problema è solo questo. E non ammette altra soluzione se non quella di cambiare la normativa europea.
Per tutelare il sardo non devo fare un paragone tra la letteratura sarda e quella italiana e poi decidere qual è la più "bella". Il sardo esiste, la sua letteratura pure, e tanto basta a risolvere il problema.
Il vero fatto è che qualcuno sostiene che a scuola si può studiare qualunque cosa...tranne il siciliano. E poi cerca le motivazioni di merito per giustificare questo pregiudizio a priori, indifendibile da ogni punto di vista. Motivazioni che retoricamente si possono trovare dall'una parte e dall'altra se si vuole "trolleggiare".
Se invece il problema è impostato come si deve (il Siciliano è lingua regionale e quindi deve essere tutelato in Italia come si farebbe in qualunque stato di diritto), la discussione si chiude subito. Il resto è odio e vomito antisiciliano di cui è bene liberarsi al più presto. O di cui fregarsene e tirare diritto.
Quando si parla di scuola, invece è proprio fondamentale discettare su cosa sia importante insegnarvi. Sull'insegnamento della Religione, sulli suoi contenuti, e su chi debba essere titolato ad insegnarlo, si dibatte da anni.
Personalmente ritengo il siciliano un'astrazione costruita sulla base di dialetti che altro non sono, se non varianti della lingua italiana. Ma, anche se il siciliano fosse una lingua distinta, dato che in questo dibattito c'è stato anche chi ha sostenuto che tale lingua (?) dovrebbe essere studiata per comprendere "in lingua originale" gli autori della "letteratura siciliana", non è ozioso interrogarsi sul valore di tali opere, invece di liquidare le obizioni come "trolleggiamento", o addirittura "odio e vomito antisiciliano". Per esercitare quello, basterebbe pensare agli straordinari corrisposti dalla Provincia di Palermo per spalare la neve a Luglio.
Bravo, continui così. Quest'ultima affermazione getta luce sulle sue reali intenzioni in questo dibattito, e sulle motivazioni molto politiche e molto poco linguistico-letterarie. Per me è una risposta eccellente.
Infatti, non solo è eccellente, ma è l'unica coerente con il livello della Sue affermazioni.
Oh, che bravo! E, senta, già che c'è, non potrebbe aggiungere uno sproloquio sugli ascari? Non potrebbe gracchiare anche Lei AnTuDo, anche solo un pochino?!
Bravo, continui così. Quest'ultima affermazione getta luce sulle sue reali intenzioni in questo dibattito, e sulle motivazioni molto politiche e molto poco linguistico-letterarie. Per me è una risposta eccellente.
È inutile litigare con i troll antisiciliani. Non possono capire! Sono semplicemente povere vittime di lavaggio del cervello. Ajàticci piatati!
Hai ragione, la discussione è abbondantemente uscita dai binari.
Qui non si tratta di discettare se al critico letterario "cascinaro" piaccia o no la letteratura siciliana al punto da doverla insegnare nelle scuole (se ognuno di noi dovesse discutere dell'importanza relativa di ciò che si studia a scuola staremmo freschi...).
I termini del problema sono molto più semplici.
O le parlate/dialetti siciliani sono riconducibili ad un ceppo comune di lingua siciliana, cioè il Siciliano, riconosciuto o no, ufficiale o no, che è una "lingua regionale", ovvero sono riconducibili a varianti della lingua italiana.
Nel primo caso il Siciliano è degno di tutela, come diversità culturale e come valore in sé, ai sensi di una precisa normativa internazionale ed europea che, per motivi nazionalistici, l'Italia invece disattende.
Nel secondo caso non è vietata la tutela ma si tratta oggettivamente di un fatto di minore importanza.
La risposta, di tutti i linguisti mondiali, con la significativa eccezione della maggioranza di quelli italiani (chissà perché), è che il Siciliano è una lingua distinta dall'Italiano, che non ne è affatto un dialetto, che semmai sono dialetti del siciliano quelli che si parlano in ogni parte dell'Isola (cortile Cascino compreso). E' una risposta ovvia, dettata quanto meno dal buon senso.
E in tal caso la tutela è dovuta con tutti i mezzi con cui si realizza tranquillamente in moltissime altre parti d'Europa (e d'Italia). Altrimenti lo Stato italiano può definirsi uno stato totalitario che opprime le culture regionali.
Il problema è solo questo. E non ammette altra soluzione se non quella di cambiare la normativa europea.
Per tutelare il sardo non devo fare un paragone tra la letteratura sarda e quella italiana e poi decidere qual è la più "bella". Il sardo esiste, la sua letteratura pure, e tanto basta a risolvere il problema.
Il vero fatto è che qualcuno sostiene che a scuola si può studiare qualunque cosa...tranne il siciliano. E poi cerca le motivazioni di merito per giustificare questo pregiudizio a priori, indifendibile da ogni punto di vista. Motivazioni che retoricamente si possono trovare dall'una parte e dall'altra se si vuole "trolleggiare".
Se invece il problema è impostato come si deve (il Siciliano è lingua regionale e quindi deve essere tutelato in Italia come si farebbe in qualunque stato di diritto), la discussione si chiude subito. Il resto è odio e vomito antisiciliano di cui è bene liberarsi al più presto. O di cui fregarsene e tirare diritto.
È inutile litigare con i troll antisiciliani. Non possono capire! Sono semplicemente povere vittime di lavaggio del cervello. Ajàticci piatati!
Oh, che bravo! E, senta, già che c'è, non potrebbe aggiungere uno sproloquio sugli ascari? Non potrebbe gracchiare anche Lei AnTuDo, anche solo un pochino?!
dei suoi avi (quando non ancora pure sua lingua madre); dove c'è chi dichiara di non odiare quanto, piuttosto, di ignorare la propria madre terra. Chi afferma queste cose magari pensa di sentirsi più italiano, più europeo che siciliano. Ed invece, ironia della sorte, proprio perché fuori dal mondo (basta informarsi su cosa accade in altre regioni d'Italia e in Europa), dimostra di essere ciò che ripudia: autenticamente siciliano! (anche se complessato)
Immagino che per Lei sia troppo complesso cercare di capire quello che ho detto quando parlavo di Heimat, vero? Meno male che sarei io, quello fuori dal mondo....
dei suoi avi (quando non ancora pure sua lingua madre); dove c'è chi dichiara di non odiare quanto, piuttosto, di ignorare la propria madre terra. Chi afferma queste cose magari pensa di sentirsi più italiano, più europeo che siciliano. Ed invece, ironia della sorte, proprio perché fuori dal mondo (basta informarsi su cosa accade in altre regioni d'Italia e in Europa), dimostra di essere ciò che ripudia: autenticamente siciliano! (anche se complessato)
No, si capisce benissimo che hai un pregiudizio antisiciliano viscerale, irrazionale, inculcato da piccolo, mentre nessuno qui ha pregiudizi antiitaliani, "accecature" da sicilianismo, che sono solo nella tua mente.
Solo il fascismo negava il valore delle lingue regionali con tanta determinazione. Si può essere anche fascisti inconsapevoli.
Dostojevski "si può" e "si dovrebbe" leggere in russo, mentre Veneziano o Meli o Pirandello o Buttitta "non si devono" leggere in Siciliano. Questa affermazione si commenta da sola. Si può e si deve leggere in lingua originale qualunque pezzo di letteratura, "ma non" in siciliano. Più pregiudizio di così...
Chi è ridicolo ora??
È inutile litigare con i troll antisiciliani. Non possono capire! Sono semplicemente povere vittime di lavaggio del cervello. Ajàticci piatati!
No, si capisce benissimo che hai un pregiudizio antisiciliano viscerale, irrazionale, inculcato da piccolo, mentre nessuno qui ha pregiudizi antiitaliani, "accecature" da sicilianismo, che sono solo nella tua mente.
Solo il fascismo negava il valore delle lingue regionali con tanta determinazione. Si può essere anche fascisti inconsapevoli.
Dostojevski "si può" e "si dovrebbe" leggere in russo, mentre Veneziano o Meli o Pirandello o Buttitta "non si devono" leggere in Siciliano. Questa affermazione si commenta da sola. Si può e si deve leggere in lingua originale qualunque pezzo di letteratura, "ma non" in siciliano. Più pregiudizio di così...
Chi è ridicolo ora??
Tu. Perchè non hai capito un accidente.
Ma te lo spiego ancora una volta, perchè sono buono e gentile.
Fra Dostoevskij e Antonio Veneziano passa una distanza maggiore che quella intercorrente fra Dante ed Angiolo Silvio Novaro.
Dostoewskij va letto, studiato e capito. Possibilmente in lingua originale; in caso contrario, in traduzione.
Di Antonio Veneziano e Carlo Amore, invece, si può fare tranquillamente a meno, come di Giovan Battista Marino (napoletano) e di Gabriello Chiabrera (savonese): e, se la ragione principale per studiare la lingua (?) siciliana, consiste nella lettura di Carlo Amore, il cui valore poetico è rappresentato dagli alati versi sotto riportati, mi sembra una ragione deboluccia.
Chi è capace solo di definire "fascisti" gli argomenti che non comprende, è LUI che è a corto di argomenti. Che il non ritenere la Sicilia una "patria" equivalga a disprezzarla, è una deduzione che supera ampiamente la barriera del ridicolo.
Io non considero lo studio in lingua originale una "dissipazione di energie" in sé. Se il preconcetto sicilianista non l'accecasse, avrebbe capito che io ritengo utilissimo leggere Shakespeare o Dostoewskij in lingua originale, ma non Antonio Veneziano o Carlo Amore. Così come non mi sognerei nemmeno di negare l'importanza del greco classico per l'educazione di un uomo di ogni luogo, mentre nutro profonde riserve sul valore letterario e linguistico dei suddetti, e sul loro influsso sui siciliani d'oggi. Almeno, lo spero, se devo confrontarmi con i versi sotto citati:
"Si a tia, litturi, sta lingua nun piaci
strazza lu libru, e a mia lassami in paci."
No, si capisce benissimo che hai un pregiudizio antisiciliano viscerale, irrazionale, inculcato da piccolo, mentre nessuno qui ha pregiudizi antiitaliani, "accecature" da sicilianismo, che sono solo nella tua mente.
Solo il fascismo negava il valore delle lingue regionali con tanta determinazione. Si può essere anche fascisti inconsapevoli.
Dostojevski "si può" e "si dovrebbe" leggere in russo, mentre Veneziano o Meli o Pirandello o Buttitta "non si devono" leggere in Siciliano. Questa affermazione si commenta da sola. Si può e si deve leggere in lingua originale qualunque pezzo di letteratura, "ma non" in siciliano. Più pregiudizio di così...
Chi è ridicolo ora??
Se non argomenti nuovi, non c'è bisogno che ripeta sempre la stessa cosa. Il suo disprezzo prconcetto per la Sicilia è chiarissimo. Ed è proprio per questo che c'è bisogno urgente di insegnare il siciliano alle future generazioni: per evitare che ci siano "complessati di Stoccolma" come lei che vogliono mettere un muro tra sé e la propria terra. Uno che considera lo studio in lingua originale una "dissipazione di energie", ma di una sola lingua, quella di casa propria, mentre magari non ha nulla in contrario a che i sardi studino il sardo e così via, si commenta da sé.
Anche lo studio del greco classico può sembrare una perdita di tempo, ma non lo è: è il codice genetico comune di mezza umanità. Di questo passo c'è solo la barbarie. Secondo me, con tutto il rispetto, lei è autenticamente, intrinsecamente un vero fascista, ossessionato dalla nazione con una sola lingua e territorio, con la negazione di qualunque identità deviante rispetto a quella che le hanno insegnato alla scuola elementare. Speriamo che siate rimasti in pochi.
Chi è capace solo di definire "fascisti" gli argomenti che non comprende, è LUI che è a corto di argomenti. Che il non ritenere la Sicilia una "patria" equivalga a disprezzarla, è una deduzione che supera ampiamente la barriera del ridicolo.
Io non considero lo studio in lingua originale una "dissipazione di energie" in sé. Se il preconcetto sicilianista non l'accecasse, avrebbe capito che io ritengo utilissimo leggere Shakespeare o Dostoewskij in lingua originale, ma non Antonio Veneziano o Carlo Amore. Così come non mi sognerei nemmeno di negare l'importanza del greco classico per l'educazione di un uomo di ogni luogo, mentre nutro profonde riserve sul valore letterario e linguistico dei suddetti, e sul loro influsso sui siciliani d'oggi. Almeno, lo spero, se devo confrontarmi con i versi sotto citati:
"Si a tia, litturi, sta lingua nun piaci
strazza lu libru, e a mia lassami in paci."
Lo sproloquio consiste nel dire che chi non ritiene essenziale l'apprendimento scolastico del siciliano (ammesso che di un siciliano letterario, autenticamente condiviso da una tradizione comune, si possa parlare) sia uno che ignora la Scuola Poetica Siciliana, magari per razzismo(?).
Io non odio "la madre siciliana". Non la considero proprio. La mia Heimat è Cortile Cascino. La mia Vaterland è l'Italia. Fra i due termini non c'è conciliazione o mediazione. Sono concettualmente diversi, e fra loro non c'è spazio per la Sicilia, che ai miei occhi non è nè Heimat, nè Vaterland.
Io non voglio far conoscere il siciliano ai miei figli? Ma per carità, se vogliono, possono pure studiare l'Esperanto! Tuttavia, dissipare energie per far leggere in lingua (?) originale Carlo Amore o Antonio Veneziano, mi sembra irrazionale.
Se non argomenti nuovi, non c'è bisogno che ripeta sempre la stessa cosa. Il suo disprezzo prconcetto per la Sicilia è chiarissimo. Ed è proprio per questo che c'è bisogno urgente di insegnare il siciliano alle future generazioni: per evitare che ci siano "complessati di Stoccolma" come lei che vogliono mettere un muro tra sé e la propria terra. Uno che considera lo studio in lingua originale una "dissipazione di energie", ma di una sola lingua, quella di casa propria, mentre magari non ha nulla in contrario a che i sardi studino il sardo e così via, si commenta da sé.
Anche lo studio del greco classico può sembrare una perdita di tempo, ma non lo è: è il codice genetico comune di mezza umanità. Di questo passo c'è solo la barbarie. Secondo me, con tutto il rispetto, lei è autenticamente, intrinsecamente un vero fascista, ossessionato dalla nazione con una sola lingua e territorio, con la negazione di qualunque identità deviante rispetto a quella che le hanno insegnato alla scuola elementare. Speriamo che siate rimasti in pochi.
L'erruri è propiu chissu. Pinzari ca unu siddhu è sicilianu 'un po èssiri macari talianu. Vossìa odia la matri siciliana, ju 'un aju nenti contra la lingua taliana, ca è macari nostra, anzi av'a èssiri sempri la prima lingua ufficiali. Chista è la diffirenza.
Vossìa 'un ci voli fari canùsciri lu sicilianu a li so figghi, di chì si scanta? Ju, a li me figghi, ci fazzu canùsciri lu sicilianu, lu talianu e lu ngrisi, tantu p'accumenzari, e appoi chiddhu chi vonnu fari fannu...
Pricchì Jàcobbu di Lentini è "sproloquio"? Sulu 'un razzista po diri chistu, ma chiù gravi s'è razzista contra a la so stissa genti.
Salutamu.
Lo sproloquio consiste nel dire che chi non ritiene essenziale l'apprendimento scolastico del siciliano (ammesso che di un siciliano letterario, autenticamente condiviso da una tradizione comune, si possa parlare) sia uno che ignora la Scuola Poetica Siciliana, magari per razzismo(?).
Io non odio "la madre siciliana". Non la considero proprio. La mia Heimat è Cortile Cascino. La mia Vaterland è l'Italia. Fra i due termini non c'è conciliazione o mediazione. Sono concettualmente diversi, e fra loro non c'è spazio per la Sicilia, che ai miei occhi non è nè Heimat, nè Vaterland.
Io non voglio far conoscere il siciliano ai miei figli? Ma per carità, se vogliono, possono pure studiare l'Esperanto! Tuttavia, dissipare energie per far leggere in lingua (?) originale Carlo Amore o Antonio Veneziano, mi sembra irrazionale.
Io e Lei siamo italiani, anche se è meglio e più consolante proclamarsi cittadino di una Patria Siciliana mitica come Shangri-là o come il Regno del Prete Gianni. E, in ogni caso, come ho detto prima, l'italiano è la lingua "moglie", e tanto mi basta. E di fronte a questo fatto non ci sono sproloqui su Jacopo da Lentini o Oddo delle Colonne che tengano.
L'erruri è propiu chissu. Pinzari ca unu siddhu è sicilianu 'un po èssiri macari talianu. Vossìa odia la matri siciliana, ju 'un aju nenti contra la lingua taliana, ca è macari nostra, anzi av'a èssiri sempri la prima lingua ufficiali. Chista è la diffirenza.
Vossìa 'un ci voli fari canùsciri lu sicilianu a li so figghi, di chì si scanta? Ju, a li me figghi, ci fazzu canùsciri lu sicilianu, lu talianu e lu ngrisi, tantu p'accumenzari, e appoi chiddhu chi vonnu fari fannu...
Pricchì Jàcobbu di Lentini è "sproloquio"? Sulu 'un razzista po diri chistu, ma chiù gravi s'è razzista contra a la so stissa genti.
Salutamu.
Tu si' sicilianu, puru c'un ti piaci. E siddhu vo' parrari in "cascinaru", o "palermitanu", o chiddhu ca vo' tu, è sempri un dialettu di la lingua siciliana, la to vera matri.
Io e Lei siamo italiani, anche se è meglio e più consolante proclamarsi cittadino di una Patria Siciliana mitica come Shangri-là o come il Regno del Prete Gianni. E, in ogni caso, come ho detto prima, l'italiano è la lingua "moglie", e tanto mi basta. E di fronte a questo fatto non ci sono sproloqui su Jacopo da Lentini o Oddo delle Colonne che tengano.
la mia lingua madre è il cascinaro.
Le mie lingue nonne sono il greco, il latino e l'arabo.
il siciliano è la vecchia zia zitella, di quelle come la Sora Camilla, che tutti la vogliono, e nessuno se le piglia.
il francese, il tedesco e il castigliano hanno con me rapporti d'affinità.
C'è una lingua, l'inglese, che vuole assolutamente imparentarsi con me.
Ma la lingua che ho sposato, e che educherà i miei figli, è l'ITALIANO.
Tu si' sicilianu, puru c'un ti piaci. E siddhu vo' parrari in "cascinaru", o "palermitanu", o chiddhu ca vo' tu, è sempri un dialettu di la lingua siciliana, la to vera matri.
Li fascisti nun hannu tanta capacitati di raggiunamentu e mancu senziu di vera patria, nun hannu mancu storia, spùtanu nti lu piattu unni hannu manciatu e nun sannu arricanùsciri cui è lu veru patri, comu nu cani ca nun canusci patruni. Si sèntinu taliani, crìdinu di èssiri cchiù nòbbili parrannu ssa lingua, dìcinu di canùsciri Danti ma nun sannu nenti di la Scola Puètica Siciliana, picchì s'affrùntanu a èssiri siciliani, comu lu cignu ca voli èssiri anatròcculu picchì nun sapi ancora ca quannu crisci è nu armali cchiù beddu. Ma forsi la viritati è ca nun ni sunnu digni di stari nti sta terra china di maggìa...
AnTuDo!
E' vero: in Italia ci abbiamo messo un bel po' ad imparare l'Italiano; è normale: non era la nostra lingua madre (e per molti, non lo è neppure adesso). E, comunque, ancora neppure lo parliamo bene (in realtà, come affermato da tutti i linguisti, si parla l'Italiano Regionale). Lo studio del Siciliano nelle scuole servirebbe anche a migliorare l'Italiano degli studenti che prenderebbero coscienza delle caratteristiche differenti tra le due lingue senza confonderle (come spesso, invece, accade adesso, col risultato - appunto - che si parla il cosiddetto Italiano Regionale). Inoltre il bilinguismo, è stato dimostrato scientificamente, migliora la capacità di apprendere altre lingue straniere, cosa oggi molto importante.
Alla parola "pacchiuni" diamo il significato che ha in lingua siciliana (se lo cerchi nei vocabolari). A scuola non va insegnato né il dialetto palermitano né quello catanese; va insegnata la lingua siciliana, quella in cui hanno scritto importanti autori palermitani e catanesi e di tutta la Sicilia (quando si insegna l'Italiano, che significato si dà alla parola "mellone"?). Purtroppo il fatto che non si sia insegnato il Siciliano e la letteratura in lingua siciliana nelle scuole ha fatto sì che qualcuno pensasse che non esiste una koiné pansiciliana ma soltanto i dialetti locali. Anche per questo va insegnato il Siciliano e la sua letteratura: chi non conosce il patrimonio culturale (quindi, anche quello linguistico) della propria terra è ignorante due volte!
la mia lingua madre è il cascinaro.
Le mie lingue nonne sono il greco, il latino e l'arabo.
il siciliano è la vecchia zia zitella, di quelle come la Sora Camilla, che tutti la vogliono, e nessuno se le piglia.
il francese, il tedesco e il castigliano hanno con me rapporti d'affinità.
C'è una lingua, l'inglese, che vuole assolutamente imparentarsi con me.
Ma la lingua che ho sposato, e che educherà i miei figli, è l'ITALIANO.
Nun scrivu lu linguaggiu italianu
pirchì nun su' lumbardu o bolognisi
Nascii in Sicilia, sugnu muducanu
usu la lingua di lu me' paisi.
Si a tia, litturi, sta lingua nun piaci
strazza lu libru, e a mia lassami in paci.
- Dott. Carlo Amore (Modica, )
«Omeru nun scrissi pi grecu chi fu grecu, o Orazziu pi latinu chi fu latinu? E siddu Pitrarca chi fu tuscanu nun si piritau di scrìviri pi tuscanu, pirchì ju avissi a èssiri evitatu, chi sugnu sicilianu, di scrìviri n sicilianu? Haiu a fàrimi pappagaddu di la lingua d’àutri?»
Antoniu Vinizzianu
Siddu tutti pari canuscìssivu la lingua e la littiratura siciliani certi cosi nun li discurrìssivu mancu, quannu lu Pòpulu è gnuranti si fa arrubbari la storia, la cultura e l'ànima e finisci d'èssiri un Pòpulu.
Il siciliano va bene come dialetto. siamo in Italia e ci abbiamo messo un bel pò ad imparare una lingua comune. Lasciamo al siciliano la sua funzione sociale, studiamolo se volete, ma per favore non eleviamola a rango di lingua tout court: si dovrebbe alfabetizzare un intera isola! E poi una domanda: alla parola "pacchiuni" che significato diamo?quello del palermitano o quello del catanese?
E' vero: in Italia ci abbiamo messo un bel po' ad imparare l'Italiano; è normale: non era la nostra lingua madre (e per molti, non lo è neppure adesso). E, comunque, ancora neppure lo parliamo bene (in realtà, come affermato da tutti i linguisti, si parla l'Italiano Regionale). Lo studio del Siciliano nelle scuole servirebbe anche a migliorare l'Italiano degli studenti che prenderebbero coscienza delle caratteristiche differenti tra le due lingue senza confonderle (come spesso, invece, accade adesso, col risultato - appunto - che si parla il cosiddetto Italiano Regionale). Inoltre il bilinguismo, è stato dimostrato scientificamente, migliora la capacità di apprendere altre lingue straniere, cosa oggi molto importante.
Alla parola "pacchiuni" diamo il significato che ha in lingua siciliana (se lo cerchi nei vocabolari). A scuola non va insegnato né il dialetto palermitano né quello catanese; va insegnata la lingua siciliana, quella in cui hanno scritto importanti autori palermitani e catanesi e di tutta la Sicilia (quando si insegna l'Italiano, che significato si dà alla parola "mellone"?). Purtroppo il fatto che non si sia insegnato il Siciliano e la letteratura in lingua siciliana nelle scuole ha fatto sì che qualcuno pensasse che non esiste una koiné pansiciliana ma soltanto i dialetti locali. Anche per questo va insegnato il Siciliano e la sua letteratura: chi non conosce il patrimonio culturale (quindi, anche quello linguistico) della propria terra è ignorante due volte!
Complimenti all'autore dell'articolo!
Purtroppo la non ratifica da parte dell'Italia rappresenta uno dei tanti segnali negativi nei confronti della Sicilia e dei Siciliani.
Io sono anni che mi "batto" affinchè il Siciliano sia lingua ufficiale.
Purtroppo temo ch l'iniziativa dell'Ars non sia così profonda...
Facemu comu i Catalani!(Fem com els catalans!)
ANTUDO
Il siciliano va bene come dialetto. siamo in Italia e ci abbiamo messo un bel pò ad imparare una lingua comune. Lasciamo al siciliano la sua funzione sociale, studiamolo se volete, ma per favore non eleviamola a rango di lingua tout court: si dovrebbe alfabetizzare un intera isola! E poi una domanda: alla parola "pacchiuni" che significato diamo?quello del palermitano o quello del catanese?
Complimenti all'autore dell'articolo!
Purtroppo la non ratifica da parte dell'Italia rappresenta uno dei tanti segnali negativi nei confronti della Sicilia e dei Siciliani.
Io sono anni che mi "batto" affinchè il Siciliano sia lingua ufficiale.
Purtroppo temo ch l'iniziativa dell'Ars non sia così profonda...
Facemu comu i Catalani!(Fem com els catalans!)
ANTUDO
Il Siciliano deve essere riconosciuto come "lingua ufficiale della Regione Siciliana" al più presto, deve essere insegnato come tale in tutte le scuole di ordine e grado: deve essere istituita l'obbligatorietà del bilinguismo (insegne, giornali, media, scuola, bandi ecc.) e deve essere incentivato il vanto di parlare una lingua che è stata protagonista della cultura europea.
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